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GIUSEPPE MAZZINI, UNO DEI PADRI DELLA PATRIA
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GIUSEPPE MAZZINI, UNO DEI PADRI DELLA PATRIA
Giuseppe Mazzini (Genova, 22 giugno 1805 – Pisa, 10 marzo 1872) è stato un patriota, politico e filosofo italiano.
Le sue idee e la sua azione politica contribuirono in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano; la polizia italiana lo costrinse però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane furono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato.
Giuseppe Mazzini viene considerato, con Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso di Cavour, uno dei padri della patria.
Biografia
Nato da Giacomo (medico e professore di anatomia, originario di Chiavari e personaggio attivo nella politica ai tempi della Repubblica Ligure ed in epoca napoleonica) e da Maria Drago (fervente giansenista), veniva chiamato "Pippo" dai genitori e dalle tre sorelle.[1]
A 14 anni si iscrisse all'Università degli Studi di Genova in medicina, come voleva suo padre, ma – stando a un racconto della madre – vi rinunciò dopo essere svenuto al primo esperimento di necroscopia.[1] Si iscrisse allora a legge, dove si segnalò per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponevano di andare a messa e di confessarsi; a 15 anni fu arrestato perché, proprio in chiesa, si rifiutò di lasciare il posto ai cadetti del Collegio Reale.[1]
Lo appassionava la letteratura: si innamorò di Goethe, Shakespeare e Foscolo, restando così colpito dallo Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero.[1] Nel 1821 ebbe il suo trauma rivelatore: a Genova passarono i Federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta e così, nel giovane Mazzini, si affacciò per la prima volta il pensiero «che si poteva, e quindi si doveva, lottare per la libertà della Patria».[1]
Iniziò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo impegnava maggiormente era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale Mazzini iniziò a pubblicare recensioni di libri patriottici; la censura lasciò fare per un po' ma poi soppresse il giornale.[1]
Nel 1826 scrisse il primo saggio letterario, Dell'amor patrio di Dante, pubblicato poi nel 1837. Il 6 aprile del 1827 ottenne la laurea in diritto civile e in diritto canonico (in utroque iure). Nello stesso anno divenne membro della carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina.
La sua attività rivoluzionaria lo costrinse a rifugiarsi in Francia, a Marsiglia, dove organizzò nel 1831 un nuovo movimento politico chiamato Giovine Italia. Il motto dell'associazione era Dio e popolo e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista infatti, secondo Mazzini, poiché senza unità non c'è forza, avrebbe fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini: il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale.[2]L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per bande.
Durante l'esilio in Francia, ebbe una relazione con la nobildonna mazziniana e repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova del patriota Giovanni Sidoli; nel 1832 nacque Joseph Démosthène Adolphe Aristide Bellerio Sidoli detto Adolphe, figlio quasi sicuramente di Mazzini, e che morirà a soli tre anni nel 1835.
Mazzini fondò altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di altri stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa.
La Giovane Europa fu la più grande concretizzazione del suo pensiero di libertà delle nazioni. In questa occasione egli estende dunque il desiderio di libertà del popolo (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni Europee. Essa viene fondata nel 1834 presso Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri. Il movimento ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui Giorgina Saffi, la moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti collaboratori di Mazzini e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico.
Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio ed in mezzo alle avversità con inflessibile costanza. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica. Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo della breve esperienza della Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere un' alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello stato italiano tra il 1859 e il 1861, ma la natura politica della nuova compagine statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana.
Il 25 febbraio 1866 Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al nuovo parlamento di Firenze. Mazzini era candidato, nel secondo collegio, ma non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due condanne a morte: una comminata dal tribunale di Genova per i moti del 1857 (il 19 novembre 1857, in primo grado, il 20 marzo 1858 in appello); un'analoga condanna a morte comminata era stata dal tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Luigi Napoleone.
Inaspettatamente, Mazzini vinse con larga messe di voti (446). Il 24 marzo, dopo due giorni di discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne precedenti.
Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo Mazzini. La Camera, dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò l’elezione. Il 18 novembre Mazzini viene rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida.
Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, rifiutò la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto albertino, la costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli ideali repubblicani.
Nel 1868 lasciò Londra e si stabilì in Svizzera, a Lugano. Nel 1870 furono amnistiate le due condanne a morte comminate al tempo del Regno di Sardegna. Mazzini rientrò in Italia e si dedicò subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato della Chiesa. L'11 agosto partì in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in arresto e recluso nel carcere militare di Gaeta.
Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare sotto il falso nome di Giorgio Brown a Pisa, il 7 febbraio del 1872. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli fino al giorno della sua morte, il 10 marzo dello stesso anno, quando la polizia del Regno d'Italia stava nuovamente per arrestarlo.
La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia. Il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi. Una folla immensa partecipò ai funerali svolti nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove [3] venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno.
Il mausoleo, in stile neoclassico, reca all'esterno la scritta "Giuseppe Mazzini" e all'interno della cripta sono presenti numerose bandiere tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità come Carducci, e sulla tomba la scritta "Giuseppe Mazzini. Un Italiano"[4] e l'epitaffio:
« Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità »
(Iscrizione sulla tomba a Staglieno)
Il pensiero politico
Per comprendere appieno la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico.[5]
Le idee diffuse in Europa all'epoca di Mazzini
La nuova concezione romantica della storia
Nasceva allora una nuova concezione della storia[6] che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità.[7]
Secondo questa visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione.[8]
La concezione reazionaria
Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una è una prospettiva reazionaria vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla sciagurata storia degli uomini. Napoleone è stato con le sue continue guerre l'Anticristo di questa apocalisse. Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva ed allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato. Una concezione politica-religiosa che troviamo nel pensiero di François-René de Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph De Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa) (1819) al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del razionalismo.[9]
La concezione progressista e il mazzinianesimo
« La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo »
(Giuseppe Mazzini, Ai giovani d'Italia)
Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.
La concezione mazziniana
« Costituire (...) l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana »
(G. Mazzini, Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia)
Dio e Popolo
« Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso. L’elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l’associazione. Iniziatori d’un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l’unità morale, il cattolicismo Umanitario [10] »
Il pensiero politico "mazziniano" deve dunque essere collocato in questa temperie di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del 1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con l'età trascorsa.
Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna religione rivelata.[11] Il personale concetto di Dio mazziniano, che per alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, esige una totale laicità dello Stato, e l'assenza di intermediari: per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana Mazzini definì il Papato "la base d’ogni autorità tirannica"[12]. Rifiuta l'ateismo materialista ma anche il trascendente in favore dell'immanente: crede nella reincarnazione, per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sè stessi. La sua è stata anche definita una "religione civile" dove la politica svolgeva il ruolo della fede[13] e dove la divinità si incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel Progresso si rivela.[14]
Egli era convinto che fosse ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio».[15] Per questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere senza speranza di premio senza calcoli di utilità.»[15]. Quello di Mazzini era un progetto politico ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.»[15]
La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza divina che di tappa in tappa si dirige verso la meta predisposta da Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano»[15]. Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità.
Patria e Umanità
Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation. La futura unità europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà.
Il processo di costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero Asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale nel singolo Stato.
A queste ultime appartenevano sia il popolo italiano, quello germanico e il polacco. Per ottenere la coscienza rivoluzionaria necessaria al perseguimento di questo programma politico Mazzini fondò la Giovine Europa, come associazione rivoluzionaria europea che aveva come scopo specifico l'agire in modo comune, dal basso e usando strumenti rivoluzionari e democratici per realizzare nei singoli Stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria.
L'iniziativa italiana
In questo processo unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità. La redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica.
Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di pensiero e azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi popoli.
La funzione della politica
La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; Mazzini esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno.
La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare.
La rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima possibile.
La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è concentrata esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo[16].
Mazzini non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo individuale.
La questione sociale
Mazzini rifiuta il marxismo convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. Ma Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione sociale presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indicava Carlo Pisacane [17], ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo scontro delle classi, ma con una loro collaborazione, da raggiungersi però organizzando l'associazionismo ed il mutualismo fra gli operai, il soggetto più debole.
Un programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani ed ai settori più consapevoli dei propri diritti fra gli operai.
Mazzini criticò il marxismo e fu da Marx criticato per gli aspetti dottrinali idealistici, e per gli atteggiamenti da teopompo, da inviato di Dio, per l'atteggiamento profetico che egli assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo.
Mazzini criticava i socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il proletariato; inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. Ma la critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero a un nuovo totalitarismo.
Da questa critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune parigina del 1871. Mentre per Marx quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia.
Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa».
Mazzini puntava sul superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste, sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori.
La sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante ed anche il Fascismo, in particolare la sua corrente "repubblicana" e socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come Terza Via tra il modello capitalista e quello marxista.
Le cospirazioni e il fallimento dei moti mazziniani
I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie italiane dell'epoca. Per i governi preunitari, i mazziniani altro non erano che terroristi e come tali furono sempre condannati.
La Giovine Italia (1831)
« Trovai tutti persuasi che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda »
(Massimo d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna)
« Su queste classi [...] così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla sventura. »
(Camillo Benso conte di Cavour[18])
Nel 1831 Mazzini si trovava a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e nel febbraio del 1831 passò in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso in Francia.
Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e nelle Legazioni pontificie del 1831.
Si concordò sul fatto che le sette carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino del 1821 quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava desistere, come nel 1821, dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti del '30-31 l'aiuto dei francesi.
Con la fondazione della Giovane Italia nel 1831 il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere dell'insurrezione».[19]
Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno»[20] - anche attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832 - del messaggio politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica.
Negli anni 1833 e 1834, durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo solo nel 1838 in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da Mazzini che fondò, al suo posto, l'"Associazione Nazionale Italiana".
Il fallimento del moto in Savoia (1833)
Entusiastiche adesioni al programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando negli anni 1833-34 una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte.
Nel 1833 organizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste adesioni nell'ambiente militare. Ma prima ancora che l'insurrezione iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli Giovanni e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condannati a morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.
Il tentativo d'invasione della Savoia e il moto di Genova (1834)
Il fallimento del primo moto non fermò Mazzini, convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il Generale Gerolamo Ramorino, che aveva già preso parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando il 2 febbraio 1834, si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta facilità.
Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l' America del Sud dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli.
Mazzini, invece, poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza, gli italiani, a mantenere il desiderio di unità e indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi, la linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero diventare pericolose per la monarchia.
La tempesta del dubbio (1836)
Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra (1837), dopo essere stato espulso dalla Svizzera, riprese quindi il suo apostolato insurrezionale.
I fratelli Bandiera (1844)
Nobili, figli dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta, l'Esperia[21] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia.
Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera partirono da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe.
Il 15 marzo dello stesso anno era loro giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di Mazzini. In realtà non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito borbonico. Il 16 giugno 1844 quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino Crotone appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re.
Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni.
I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila.
Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.
Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose.
La Repubblica Romana
Dopo i moti del 1848, Mazzini fu a capo, con Aurelio Saffi e Carlo Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese e pontificia nel 1849.
La spedizione di Sapri (1857)
Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.
Il 25 giugno 1857 Pisacane s'imbarcò con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Il 26 giugno sbarcò a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza. Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegnati ai gendarmi.
Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione. Perirono in 83. Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi processati nel gennaio del 1858. Condannati a morte, furono graziati dal Re, che tramutò la pena in ergastolo.
Il senso dell'impresa
Pur essendo quella di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana condotta senza speranza di premio in effetti Pisacane si era allontanato dal credo politico del Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula libertà e associazione.
Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero».
Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrifico non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire.» (C.Pisacane op.cit.)
La spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione pubblica italiana la "questione napoletana", la liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che il politico inglese William Ewart Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a sistema di governo».
Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.
Il ruolo storico di Mazzini
«Suscitò continuamente energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù ...e intanto gli anziani gli sfuggivano...».
Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. Mazzini infatti non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour.
«Il compito di Mazzini fu invece quello di creare l'"animus"» . Quando sembrava che il problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili» ma invece risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea.
«La tragedia della Giovine Italia impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in azione...» e quegli stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario italiano.[22]
Mazzini conteso tra Fascismo e Antifascismo
L'eredita ideale e politica del pensiero mazziniano è stata a lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la Resistenza.
Nel Ventennio fascista Mazzini fu oggetto di innumerevoli citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore del regime di Mussolini.[23]
La popolarità di Mazzini durante il periodo fascista fu dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a Mussolini durante la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Nel 1917, sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo».[24]
Particolare fu il caso di Bologna, città in cui i repubblicani Pietro Nenni, Guido e Mario Bergamo presero parte attivamente nel 1919 alla fondazione del primo Fascio di combattimento costituitosi nel capoluogo emiliano per poi abbandonarlo poco dopo diventando irriducibili avversari del fascismo.
Tra i più famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Italo Balbo (che si era laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di Mazzini" e del quale lo storico Claudio Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all’ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»[25]) Curzio Malaparte e quel Berto Ricci che nel Fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la Monarchia di Dante e il Concilio di Mazzini».[26]
Secondo lo storico Roberto Pertici «il Fascismo era considerato il compimento della rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito: nell’inserimento e nell’integrazione delle masse nello stato nazionale».[27]
I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano anche riguardo l'idea di patria, la concezione spirituale della vita, l'importanza dell'educazione di massa come strumento per creare un "uomo nuovo" ed una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali.
Lo storico Massimo Baioni scrive a proposito della contemporanea celebrazione nel 1932 del 50º anniversario della morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma: «Le principali manifestazioni del 1932 sembravano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo come originale esperimento politico e sociale».[28]
Negli anni della Resistenza (1944-'45) la situazione si complica maggiormente: il Fascismo della Repubblica Sociale intensifica ulteriormente i suoi riferimenti a Mazzini (la data del giuramento della Guardia Nazionale Repubblicana venne fissata il 9 febbraio, anniversario della Repubblica Romana del 1849[29]) ma anche gli antifascisti, in particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse nel 1931 ad uno studioso inglese: «Agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la lotta dei nostri antenati per la libertà e quella di oggi».[30]
Hanno detto di lui
« Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini. »
(Klemens von Metternich)
« Il famoso rivoluzionario Giuseppe Mazzini, più conosciuto in Russia come patriota italiano, cospiratore e agitatore che come metafisico deista e fondatore della nuova chiesa in Italia, sì, proprio Mazzini ritenne utile e necessario nel 1871, il giorno dopo la disfatta della comune di Parigi, quando i feroci esecutori di Versailles fucilavano a migliaia i disarmati comunardi, affiancare l'anatema della chiesa cattolica e le persecuzioni poliziesche dello Stato con il suo proprio anatema sedicentemente patriottico e rivoluzionario ma nella sostanza assolutamente borghese e teologico insieme. »
(Michail Bakunin, Stato e Anarchia)
« E un popol morto dietro a lui si mise.
Esule antico, al ciel mite e severo
Leva ora il volto che giammai non rise,
" Tu sol" pensando "o ideal, sei vero". »
(Giosuè Carducci, Mazzini)
Le sue idee e la sua azione politica contribuirono in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano; la polizia italiana lo costrinse però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane furono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato.
Giuseppe Mazzini viene considerato, con Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso di Cavour, uno dei padri della patria.
Biografia
Nato da Giacomo (medico e professore di anatomia, originario di Chiavari e personaggio attivo nella politica ai tempi della Repubblica Ligure ed in epoca napoleonica) e da Maria Drago (fervente giansenista), veniva chiamato "Pippo" dai genitori e dalle tre sorelle.[1]
A 14 anni si iscrisse all'Università degli Studi di Genova in medicina, come voleva suo padre, ma – stando a un racconto della madre – vi rinunciò dopo essere svenuto al primo esperimento di necroscopia.[1] Si iscrisse allora a legge, dove si segnalò per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponevano di andare a messa e di confessarsi; a 15 anni fu arrestato perché, proprio in chiesa, si rifiutò di lasciare il posto ai cadetti del Collegio Reale.[1]
Lo appassionava la letteratura: si innamorò di Goethe, Shakespeare e Foscolo, restando così colpito dallo Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero.[1] Nel 1821 ebbe il suo trauma rivelatore: a Genova passarono i Federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta e così, nel giovane Mazzini, si affacciò per la prima volta il pensiero «che si poteva, e quindi si doveva, lottare per la libertà della Patria».[1]
Iniziò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo impegnava maggiormente era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale Mazzini iniziò a pubblicare recensioni di libri patriottici; la censura lasciò fare per un po' ma poi soppresse il giornale.[1]
Nel 1826 scrisse il primo saggio letterario, Dell'amor patrio di Dante, pubblicato poi nel 1837. Il 6 aprile del 1827 ottenne la laurea in diritto civile e in diritto canonico (in utroque iure). Nello stesso anno divenne membro della carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina.
La sua attività rivoluzionaria lo costrinse a rifugiarsi in Francia, a Marsiglia, dove organizzò nel 1831 un nuovo movimento politico chiamato Giovine Italia. Il motto dell'associazione era Dio e popolo e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista infatti, secondo Mazzini, poiché senza unità non c'è forza, avrebbe fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini: il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale.[2]L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per bande.
Durante l'esilio in Francia, ebbe una relazione con la nobildonna mazziniana e repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova del patriota Giovanni Sidoli; nel 1832 nacque Joseph Démosthène Adolphe Aristide Bellerio Sidoli detto Adolphe, figlio quasi sicuramente di Mazzini, e che morirà a soli tre anni nel 1835.
Mazzini fondò altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di altri stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa.
La Giovane Europa fu la più grande concretizzazione del suo pensiero di libertà delle nazioni. In questa occasione egli estende dunque il desiderio di libertà del popolo (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni Europee. Essa viene fondata nel 1834 presso Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri. Il movimento ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui Giorgina Saffi, la moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti collaboratori di Mazzini e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico.
Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio ed in mezzo alle avversità con inflessibile costanza. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica. Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo della breve esperienza della Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere un' alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello stato italiano tra il 1859 e il 1861, ma la natura politica della nuova compagine statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana.
Il 25 febbraio 1866 Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al nuovo parlamento di Firenze. Mazzini era candidato, nel secondo collegio, ma non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due condanne a morte: una comminata dal tribunale di Genova per i moti del 1857 (il 19 novembre 1857, in primo grado, il 20 marzo 1858 in appello); un'analoga condanna a morte comminata era stata dal tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Luigi Napoleone.
Inaspettatamente, Mazzini vinse con larga messe di voti (446). Il 24 marzo, dopo due giorni di discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne precedenti.
Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo Mazzini. La Camera, dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò l’elezione. Il 18 novembre Mazzini viene rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida.
Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, rifiutò la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto albertino, la costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli ideali repubblicani.
Nel 1868 lasciò Londra e si stabilì in Svizzera, a Lugano. Nel 1870 furono amnistiate le due condanne a morte comminate al tempo del Regno di Sardegna. Mazzini rientrò in Italia e si dedicò subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato della Chiesa. L'11 agosto partì in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in arresto e recluso nel carcere militare di Gaeta.
Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare sotto il falso nome di Giorgio Brown a Pisa, il 7 febbraio del 1872. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli fino al giorno della sua morte, il 10 marzo dello stesso anno, quando la polizia del Regno d'Italia stava nuovamente per arrestarlo.
La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia. Il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi. Una folla immensa partecipò ai funerali svolti nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove [3] venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno.
Il mausoleo, in stile neoclassico, reca all'esterno la scritta "Giuseppe Mazzini" e all'interno della cripta sono presenti numerose bandiere tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità come Carducci, e sulla tomba la scritta "Giuseppe Mazzini. Un Italiano"[4] e l'epitaffio:
« Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità »
(Iscrizione sulla tomba a Staglieno)
Il pensiero politico
Per comprendere appieno la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico.[5]
Le idee diffuse in Europa all'epoca di Mazzini
La nuova concezione romantica della storia
Nasceva allora una nuova concezione della storia[6] che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità.[7]
Secondo questa visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione.[8]
La concezione reazionaria
Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una è una prospettiva reazionaria vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla sciagurata storia degli uomini. Napoleone è stato con le sue continue guerre l'Anticristo di questa apocalisse. Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva ed allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato. Una concezione politica-religiosa che troviamo nel pensiero di François-René de Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph De Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa) (1819) al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del razionalismo.[9]
La concezione progressista e il mazzinianesimo
« La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo »
(Giuseppe Mazzini, Ai giovani d'Italia)
Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.
La concezione mazziniana
« Costituire (...) l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana »
(G. Mazzini, Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia)
Dio e Popolo
« Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso. L’elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l’associazione. Iniziatori d’un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l’unità morale, il cattolicismo Umanitario [10] »
Il pensiero politico "mazziniano" deve dunque essere collocato in questa temperie di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del 1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con l'età trascorsa.
Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna religione rivelata.[11] Il personale concetto di Dio mazziniano, che per alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, esige una totale laicità dello Stato, e l'assenza di intermediari: per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana Mazzini definì il Papato "la base d’ogni autorità tirannica"[12]. Rifiuta l'ateismo materialista ma anche il trascendente in favore dell'immanente: crede nella reincarnazione, per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sè stessi. La sua è stata anche definita una "religione civile" dove la politica svolgeva il ruolo della fede[13] e dove la divinità si incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel Progresso si rivela.[14]
Egli era convinto che fosse ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio».[15] Per questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere senza speranza di premio senza calcoli di utilità.»[15]. Quello di Mazzini era un progetto politico ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.»[15]
La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza divina che di tappa in tappa si dirige verso la meta predisposta da Dio. Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano»[15]. Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità.
Patria e Umanità
Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation. La futura unità europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà.
Il processo di costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero Asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale nel singolo Stato.
A queste ultime appartenevano sia il popolo italiano, quello germanico e il polacco. Per ottenere la coscienza rivoluzionaria necessaria al perseguimento di questo programma politico Mazzini fondò la Giovine Europa, come associazione rivoluzionaria europea che aveva come scopo specifico l'agire in modo comune, dal basso e usando strumenti rivoluzionari e democratici per realizzare nei singoli Stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria.
L'iniziativa italiana
In questo processo unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità. La redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica.
Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di pensiero e azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi popoli.
La funzione della politica
La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; Mazzini esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno.
La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare.
La rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima possibile.
La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è concentrata esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo[16].
Mazzini non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo individuale.
La questione sociale
Mazzini rifiuta il marxismo convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. Ma Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione sociale presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indicava Carlo Pisacane [17], ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo scontro delle classi, ma con una loro collaborazione, da raggiungersi però organizzando l'associazionismo ed il mutualismo fra gli operai, il soggetto più debole.
Un programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani ed ai settori più consapevoli dei propri diritti fra gli operai.
Mazzini criticò il marxismo e fu da Marx criticato per gli aspetti dottrinali idealistici, e per gli atteggiamenti da teopompo, da inviato di Dio, per l'atteggiamento profetico che egli assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo.
Mazzini criticava i socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il proletariato; inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. Ma la critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero a un nuovo totalitarismo.
Da questa critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune parigina del 1871. Mentre per Marx quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia.
Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa».
Mazzini puntava sul superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste, sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori.
La sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante ed anche il Fascismo, in particolare la sua corrente "repubblicana" e socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come Terza Via tra il modello capitalista e quello marxista.
Le cospirazioni e il fallimento dei moti mazziniani
I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie italiane dell'epoca. Per i governi preunitari, i mazziniani altro non erano che terroristi e come tali furono sempre condannati.
La Giovine Italia (1831)
« Trovai tutti persuasi che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda »
(Massimo d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna)
« Su queste classi [...] così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla sventura. »
(Camillo Benso conte di Cavour[18])
Nel 1831 Mazzini si trovava a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e nel febbraio del 1831 passò in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso in Francia.
Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e nelle Legazioni pontificie del 1831.
Si concordò sul fatto che le sette carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino del 1821 quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava desistere, come nel 1821, dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti del '30-31 l'aiuto dei francesi.
Con la fondazione della Giovane Italia nel 1831 il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere dell'insurrezione».[19]
Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno»[20] - anche attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832 - del messaggio politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica.
Negli anni 1833 e 1834, durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo solo nel 1838 in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da Mazzini che fondò, al suo posto, l'"Associazione Nazionale Italiana".
Il fallimento del moto in Savoia (1833)
Entusiastiche adesioni al programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando negli anni 1833-34 una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte.
Nel 1833 organizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste adesioni nell'ambiente militare. Ma prima ancora che l'insurrezione iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli Giovanni e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condannati a morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.
Il tentativo d'invasione della Savoia e il moto di Genova (1834)
Il fallimento del primo moto non fermò Mazzini, convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il Generale Gerolamo Ramorino, che aveva già preso parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando il 2 febbraio 1834, si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta facilità.
Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l' America del Sud dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli.
Mazzini, invece, poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza, gli italiani, a mantenere il desiderio di unità e indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi, la linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero diventare pericolose per la monarchia.
La tempesta del dubbio (1836)
Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra (1837), dopo essere stato espulso dalla Svizzera, riprese quindi il suo apostolato insurrezionale.
I fratelli Bandiera (1844)
Nobili, figli dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta, l'Esperia[21] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia.
Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera partirono da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe.
Il 15 marzo dello stesso anno era loro giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di Mazzini. In realtà non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito borbonico. Il 16 giugno 1844 quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino Crotone appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re.
Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni.
I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila.
Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito il 25 luglio 1844.
Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose.
La Repubblica Romana
Dopo i moti del 1848, Mazzini fu a capo, con Aurelio Saffi e Carlo Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese e pontificia nel 1849.
La spedizione di Sapri (1857)
Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.
Il 25 giugno 1857 Pisacane s'imbarcò con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Il 26 giugno sbarcò a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza. Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegnati ai gendarmi.
Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione. Perirono in 83. Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi processati nel gennaio del 1858. Condannati a morte, furono graziati dal Re, che tramutò la pena in ergastolo.
Il senso dell'impresa
Pur essendo quella di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana condotta senza speranza di premio in effetti Pisacane si era allontanato dal credo politico del Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula libertà e associazione.
Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero».
Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrifico non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire.» (C.Pisacane op.cit.)
La spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione pubblica italiana la "questione napoletana", la liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che il politico inglese William Ewart Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a sistema di governo».
Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.
Il ruolo storico di Mazzini
«Suscitò continuamente energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù ...e intanto gli anziani gli sfuggivano...».
Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. Mazzini infatti non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour.
«Il compito di Mazzini fu invece quello di creare l'"animus"» . Quando sembrava che il problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili» ma invece risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea.
«La tragedia della Giovine Italia impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in azione...» e quegli stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario italiano.[22]
Mazzini conteso tra Fascismo e Antifascismo
L'eredita ideale e politica del pensiero mazziniano è stata a lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la Resistenza.
Nel Ventennio fascista Mazzini fu oggetto di innumerevoli citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore del regime di Mussolini.[23]
La popolarità di Mazzini durante il periodo fascista fu dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a Mussolini durante la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Nel 1917, sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo».[24]
Particolare fu il caso di Bologna, città in cui i repubblicani Pietro Nenni, Guido e Mario Bergamo presero parte attivamente nel 1919 alla fondazione del primo Fascio di combattimento costituitosi nel capoluogo emiliano per poi abbandonarlo poco dopo diventando irriducibili avversari del fascismo.
Tra i più famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Italo Balbo (che si era laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di Mazzini" e del quale lo storico Claudio Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all’ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»[25]) Curzio Malaparte e quel Berto Ricci che nel Fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la Monarchia di Dante e il Concilio di Mazzini».[26]
Secondo lo storico Roberto Pertici «il Fascismo era considerato il compimento della rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito: nell’inserimento e nell’integrazione delle masse nello stato nazionale».[27]
I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano anche riguardo l'idea di patria, la concezione spirituale della vita, l'importanza dell'educazione di massa come strumento per creare un "uomo nuovo" ed una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali.
Lo storico Massimo Baioni scrive a proposito della contemporanea celebrazione nel 1932 del 50º anniversario della morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma: «Le principali manifestazioni del 1932 sembravano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo come originale esperimento politico e sociale».[28]
Negli anni della Resistenza (1944-'45) la situazione si complica maggiormente: il Fascismo della Repubblica Sociale intensifica ulteriormente i suoi riferimenti a Mazzini (la data del giuramento della Guardia Nazionale Repubblicana venne fissata il 9 febbraio, anniversario della Repubblica Romana del 1849[29]) ma anche gli antifascisti, in particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Carlo Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse nel 1931 ad uno studioso inglese: «Agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la lotta dei nostri antenati per la libertà e quella di oggi».[30]
Hanno detto di lui
« Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini. »
(Klemens von Metternich)
« Il famoso rivoluzionario Giuseppe Mazzini, più conosciuto in Russia come patriota italiano, cospiratore e agitatore che come metafisico deista e fondatore della nuova chiesa in Italia, sì, proprio Mazzini ritenne utile e necessario nel 1871, il giorno dopo la disfatta della comune di Parigi, quando i feroci esecutori di Versailles fucilavano a migliaia i disarmati comunardi, affiancare l'anatema della chiesa cattolica e le persecuzioni poliziesche dello Stato con il suo proprio anatema sedicentemente patriottico e rivoluzionario ma nella sostanza assolutamente borghese e teologico insieme. »
(Michail Bakunin, Stato e Anarchia)
« E un popol morto dietro a lui si mise.
Esule antico, al ciel mite e severo
Leva ora il volto che giammai non rise,
" Tu sol" pensando "o ideal, sei vero". »
(Giosuè Carducci, Mazzini)
Note
^ a b c d e f Cfr. L'uomo nuovo in Indro Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano 1972
^ Cfr. Patria, nazione e stato tra unità e federalismo. Mazzini, Cattaneo e Tuveri, Editore: CUEC, Collana: University Press-Ricerche storiche, 2007 ISBN 88-8467-381-X
^ Le esequie furono accompagnate dalla musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo
^ La stessa semplice scritta volle Giovanni Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla propria tomba a Firenze
^ A.Desideri, Storia e storiografia,Vol.II, pag.333, Ed. D'Anna, Messina-Firenze 1997
^ «Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in A.Desideri, Ibidem
^ «La politica acquista pathos religioso, e sempre più col procedere del secolo...la nazione diventa patria: e la patria la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F.Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari 1967
^ «S'identificò la storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico.»Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, pag.24, Napoli,1955
^ «Così il genere umano è in gran parte naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che soprannaturalmente...senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. J.De Maistre, Il Papa, trad. di T.Casini, Firenze 1926)
^ G. Mazzini, Fede e avvenire, At the University Press, 1921 p.51
^ «Egli aveva una visione utopica, romantica e anche sincretistica della religione, che egli considerava come il contributo, in termini di princìpi universali, delle varie confessioni e fedi alla storia collettiva.» Senato.it
^ G. Mazzini, Dei doveri dell'uomo
^ Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, con postfazione di Sauro Mattarelli, Roma-Bari, Laterza, 2000
^ G. Mazzini, Fede e avvenire
^ a b c d A.Omodeo, Introduzione a G.Mazzini, Scritti scelti, Mondadori, Milano 1934
^ Mattarelli, Sauro, "Duties and rights in the thought of Giuseppe Mazzini" in Journal of Modern Italian Studies, 13, no. 4 (December 2008): 480-485.
^ «L'Italia trionferà quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica , Milano 1956
^ A.Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, UTET, 1953.
^ G. Mazzini, Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola, 1907.
^ G.Mazzini, op.cit.
^ Nome col quale i greci indicavano l'Italia antica
^ le citazioni sono tratte da A.Omodeo, Introduzione a Giuseppe Mazzini, Scritti scelti, Mondatori, Milano, 1934.
^ Paolo Benedetti - “Mazzini in Camicia nera” - edito nel volume XXII 2007 della Fondazione ‘Ugo La Malfa’
^ Paolo Benedetti - "Mazzini nell'ideologia del fascismo"
^ http://archiviostorico.corriere.it/2008/luglio/11/Camerata_Mazzini_presente__co_9_080711153.shtml
^ "Manifesto realista" pubblicato sulla rivista L'Universale del 10 Gennaio 1933
^ Roberto Pertici - Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo: L'itinerario politico di Delio Cantimori (1919-1943)
^ Massimo Baioni - Il Risorgimento in camicia nera (Carocci, Roma 2006)
^ Mario Ragionieri - Salò e l'Italia nella guerra civile (Ibiskos Editrice, 2005)
^ http://archiviostorico.corriere.it/2010/marzo/11/Italia_impossibile_Giuseppe_Mazzini_fallito_co_9_100311032.shtml
Bibliografia
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