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La poliorcetica nel Medioevo

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Messaggio  Sam Ven Gen 21, 2011 3:08 pm

di Max Trimurti
www.storiain.net

I guerrieri del medioevo mutuarono volentieri le loro tecniche d'assedio dagli strateghi dell'antichità. Vegezio, in particolare, con il suo Epitoma rei militaris, ispirò più di un condottiero.

Gli eruditi del XIX secolo hanno designato comunemente con il sostantivo di "poliorcetica", i differenti metodi ossidionali, cioè le tecniche di assedio di una fortezza. Il termine deriva dal greco Poliorketés, che significa "conquistatore di città", un soprannome attribuito al Re di Macedonia Demetrio I (295-287 a.C.), famoso per la sua competenza in materia. Nel secondo secolo della nostra era Apollodoro di Damasco scrive il Poliorketika, un trattato sulle operazioni ossidionali, molto in voga nell'alto medioevo. In sostanza la poliorcetica è l'arte di conquistare le città e, per estensione, tutti i tipi di luoghi fortificati.
Bloccare la fortezza Seguendo le regole della poliorcetica antica il primo compito di un attaccante consiste nell'isolare la piazza da conquistare dalle sue vie di comunicazione con l'esterno. A tal fine venivano erette delle opere in terra e legno, scavati dei fossati, innalzate delle torri di avvistamento o dei fortini. Con queste opere, normalmente chiamate di "controvallazione", si volevano conseguire due obbiettivi prioritari: il primo, di impedire qualsiasi rifornimento alla fortezza e quindi sperare di farla cadere per fame; il secondo, di porre gli assedianti al riparo da un'eventuale sortita di sorpresa della guarnigione che avrebbe vanificato tutta l'operazione.

Giulio Cesare è stato a suo tempo un maestro nell'impiego di queste tecniche, che ha applicato con successo all'assedio di Alesia nel 52 a.C. Nel suo il De Bello Gallico racconta: «I lavori intrapresi dai Romani si svilupparono su una lunghezza di 10 miglia (circa 15 chilometri). Gli accampamenti furono posti in luoghi adeguati e vennero costruiti in luoghi adatti 23 posti fortificati; in questi posti venivano distaccati durante il giorno dei corpi di guardia per prevenire e impedire qualsiasi attacco repentino degli assediati; durante la notte, negli stessi posti venivano distaccate delle sentinelle e accantonati dei forti distaccamenti». Attanagliati dalla fame i Galli furono costretti a un terribile razionamento, poi dovettero espellere le bocche inutili. Cesare, davanti a questo provvedimenti si dimostrò inflessibile e allorché i malcapitati giunsero nei pressi del vallo romano, diede disposizioni per impedire il loro passaggio. Così facendo, sperava di indebolire la posizione di Vercingetorige, obbligandolo a riprendere i suoi e a terminare più rapidamente le sue risorse alimentari. Ma così non avvenne: i poveretti furono abbandonati fra le due linee e condannati a morire di fame. Da ultimo, dopo alcune settimane di assedio, contrassegnato da violenti combattimenti, l'oppidum fu costretto ad arrendersi.

Dei buoni allievi Molti dei più grandi prìncipi dell'Occidente medievale possedevano biblioteche relativamente fornite. Essi consultavano soprattutto le pubblicazioni dedicate all'arte della guerra, redatte durante l'antichità. Nello specifico, erano tenute in grande considerazione le opere di Vegezio (Epitoma rei militaris), al quale poi seguivano, per interesse, quelle di Vitruvio e, naturalmente, quelle di Cesare. Guglielmo il Conquistatore si è regolarmente ispirato alla tecnica del blocco, applicando alla lettera l'adagio di Vegezio: «La fame è un nemico interno spesso più letale del ferro». Secondo questa logica, nel 1047, all'assedio di Brionne in Borgogna (come riportato dal biografo Giovanni di Poitiers) Guglielmo: «fa costruire due torri sulle rive del fiume dove era diviso in due parti. Quindi terrorizzando i nemici con degli attacchi giornalieri impedisce loro qualsiasi sortita, fino a quando i borgognoni, pressati dalla carenza di viveri, non inviano degli intercessori per implorare la clemenza del Duca». Ciò nondimeno gli occorreranno tre anni per aver ragione della piazza. In modo analogo riuscì a espugnare la piazza di Domfront nell'Orne, nel 1052. Ma in questo caso fu anche la paura di rappresaglie che spinse gli assediati ad arrendersi, proprio perché la stessa paura faceva parte del bagaglio delle risorse dell'attaccante. Ma forse la migliore applicazione delle tecniche antiche spetta a Filippo Augusto Re di Francia. Secondo Guglielmo Armoricus (il Bretone), autore di un lungo poema epico chiamato Philippides ("Gesta di Filippo Augusto"), il Capetingio realizzò nel 1203-4, all'assedio di Castel Gaillard in Normandia, una copia fedele dell'assedio di Alesia. Costruì una controvallazione intervallata da fortini per isolare la fortezza, e, come accadde a Cesare, osservò l'espulsione dal castello delle bocche inutili. Queste - come racconta il cronista - vennero respinte «affinché tutte insieme contribuissero a consumare i loro viveri e, nel momento in cui le provvisioni fossero verso la fine e gli assediati fossero presi dal morso della fame, questi deponessero alfine le loro armi e si consegnassero spontaneamente all'assediante, non essendo più in condizioni, né di difendersi, né di difendere il loro castello».

Bombardare la piazza Attendere pazientemente la resa di una fortezza non impediva tuttavia il suo regolare bombardamento. Questa azione brutale e intensiva serviva in genere a demoralizzare gli assediati. Essa consentiva anche di disorganizzare i movimenti interni, di uccidere difensori e di indebolire le cortine murarie, oltre a costituire una efficace copertura per un eventuale assalto. Identificare oggi le armi capaci di realizzare tali bombardamenti è una impresa non sempre agevole. I termini utilizzati dagli autori antichi sono spesso vaghi e sovente contraddittori. Vitruvio, in particolare, evoca nel suo lavoro baliste, catapulte e scorpioni (macchine a torsione), in grado di lanciare delle sagittas (frecce). Qualche paragrafo più avanti parla di nuovo di baliste, che questa volta lanciano saxos (pietre). Vegezio da parte sua appare un po' più preciso. Secondo lui «la balista è azionata mediante l'impiego di corde di budella fortemente tese. Più le braccia [della balista] sono lunghe, più i giavellotti che essa lancia vanno lontano. L'onagro serve per lanciare pietre... Lo scorpione invece è la balestra moderna». Tuttavia, nulla di decisamente chiarificatore. Per di più i due autori non sono d'accordo riguardo l'impiego di tali macchine: il primo le ritiene utili per l'attacco e la difesa delle piazzeforti, mentre il secondo le giudica adatte per la sola difesa. In effetti, diverse miniature medievali ce le mostrano in azione in entrambe le situazioni operative.

Problemi di terminologia Se gli scritti classici ci sembrano molto imprecisi, i testi del medioevo servono solamente ad aumentare le difficoltà. Il termine "ingegno", "apparecchio" o "macchina" è sicuramente il più diffuso e sottintende spesso una larga varietà di realizzazioni. Negli scritti di Froissart (XIV secolo) questo termine può significare cannone, trabucco, mangano, ariete... Eugenio Viollet le Duc, nella redazione del suo Dizionario di Architettura Medievale, si lamentava di queste imprecisioni: «Gli annalisti ed i poeti di quei tempi ed anche quelli di epoca più recente, sono di una laconicità esasperante; quando parlano di queste macchine, le designano indifferentemente con dei nomi presi a caso dall'arsenale di guerra, secondo le necessità della metrica o della rima». L'epoca moderna esige di mettere imperativamente dietro a ogni nome una definizione scientifica, ma questa esigenza non era altrettanto sentita dagli antichi. Di fronte a queste difficoltà di interpretazione, appare opportuno effettuare una distinzione, da un lato fra le macchine idonee a lanciare armi da tratto di grosse dimensioni, specie di balestre giganti, e dall'altro quelle che lanciano pietre per mezzo di una trave che termina all'estremità con un cucchiaio o con una fionda. I materiali lanciati, oltre alle pietre di diverse dimensioni, potevano essere anche di tipo "improprio", come carogne di animali, proiettili incendiari, anfore con acque putride ecc... delle vere e proprie armi batteriologiche ante litteram. La potenza di questi mezzi si basava sulla elasticità dei materiali: legno, corde, crini, budella e, eventualmente, la forza fisica. Potevano essere montati su ruote per garantirne l'adeguata mobilità. Ma era anche necessario un solido ancoraggio al terreno al momento del tiro, al fine di evitare movimenti intempestivi di rinculo, suscettibili di recare danni agli stessi serventi. La maggior parte di questi mezzi erano smontabili e seguivano l'esercito in campagna stivati in carriaggi, ma non era infrequente vederli costruire sul posto con il legno dei boschi vicini. Numerose allusioni a queste ferali macchine si trovano con una relativa precisione in un lungo poema (L'assedio della città di Parigi), scritto verso la fine del IX secolo dal monaco Abbone di Saint Germain. L'autore vi descrive nei minimi particolari il grande assedio subito dalla città nell'886 da parte dei Vichinghi. «Da tutte le parti volano saette, il sangue scorre a fiotti; dall'altro le fionde e le petriere frammischiano i loro tiri con quelli dei giavellotti. Non si vede volare altro fra il cielo e la terra che delle pietre e delle saette». Abbone evoca nei suoi versi la costruzione di un mangano adatto a lanciare delle grosse pietre, con le quali vengono distrutte - da parte degli assediati - le tende che i feroci assedianti hanno piantato ai piedi della torre d'assalto. In effetti, nel definire il mangano, il monaco utilizza indistintamente, come per tutti gli altri tipi di macchine, il termine di catapulta.

Dare l'assalto Se l'assediante non disponeva di un adeguato lasso di tempo per attendere la resa di un sito fortificato, si vedeva costretto a ricorrere all'assalto. Le grandi masse umane radunate per condurre l'assedio comportavano un onere importante di vettovagliamento. E spesso la carenza di rifornimenti provocava fame e difficoltà maggiori di quelle provate dall'assediato. A questo poteva aggiungersi il diffondersi di una epidemia, che poteva devastare un esercito in pochi giorni. Basti qui ricordare la morte di Luigi Re di Francia all'assedio di Tunisi nel 1270.
Per l'assalto Vegezio consiglia di adottare uno schieramento «con grande dispiegamento di mezzi; le trombe devono suonare; tutti gli uomini devono gridare; tutto questo per incutere terrore negli assediati e convincerli ad arrendersi». Per l'avvicinamento alle mura era possibile avanzare al coperto di speciali attrezzature (plutei o crates: intelaiature di legno coperte da una graticciata rivestita di pelli e attrezzata con ruote), graticci o gabbioni di vimini o di altro materiale legnoso. Successivamente, bisognava riempire il fossato con tutti i materiali disponibili: fascine, carogne di animali, alberi, terra. Una volta livellato il terreno era possibile raggiungere la base dei bastioni. A questo punto la tecnica più diffusa consisteva nell'appoggiare alle cortine una serie di scale e salire le mura: un metodo semplice e diretto, ma molto costoso in termini di vite umane. La più antica fra le armi di attacco era l'ariete. Esso fu inventato, secondo Vitruvio, dai Cartaginesi in occasione dell'assedio di Cadice nel 500 a.C. Si trattava di una lunga trave di legno dotata di una testa di metallo e fissata con delle corde a una incastellatura di legno. Con un movimento basculante, spinto dalla forza umana, l'ariete colpiva ripetutamente il bersaglio, provocando alla lunga lo sgretolamento della cortina o della porta. Gli antichi raccomandavano di piazzarlo in una specie di galleria mobile, protetta e dal tetto spiovente, chiamata testuggine o vinea, per proteggere il personale addetto. Questo tipo di macchine appare a più riprese nelle cronache medievali e risulta spesso oggetto di riproduzioni nelle miniature del tempo.

Dopo l'ariete, fra i grandi mezzi per l'assalto, si trovano le torri, a diversi piani, sui quali potevano schierarsi numerosi guerrieri, balestrieri e arcieri. Queste antiche elepoli (dal greco helein "prendi" e polis "città") avevano già fatto la fama del re di Macedonia Demetrio I. Montate su ruote e fatte avanzare lentamente verso il loro obiettivo, esse dominavano le mura dell'avversario con la loro altezza e la loro massa. Una volta giunte a portata del muro avversario, la torre abbassava sulle mura nemiche un ponte attraverso il quale lanciava all'assalto la massa degli uomini presenti al suo interno. Queste macchine mostruose e gigantesche, ricoperte di pelli, di cuoio o di graticci per preservarle dal tiro diretto e dal fuoco avversario (secondo le tassative prescrizioni di Vegezio), richiedevano un elevato costo di costruzione e, per questo, erano di norma appannaggio di grandi prìncipi. Le torri più complesse prevedevano anche la sistemazione di un ariete alla sua base e varie macchine da getto ai piani superiori. I Vichinghi le utilizzarono nell'assedio di Parigi dell'885 e verranno utilizzate dai Turchi nell'assedio di Costantinopoli del 1453 ed in quello di Malta del 1565. Gli autori medievali le designavano più comunemente con il nome di torri anche se qualche autore transalpino le chiama anche "troie" (sic!, anche se altri autori individuano con questo termine delle macchine da getto) o "gatto castello".

La trincea (lo scavo) Quest'ultima tecnica, frequentemente impiegata durante tutto il Medioevo e oltre, trova la sua origine nella notte dei tempi. Vegezio, nel suo trattato, la descrive molto dettagliatamente: « Un altro genere di attacco invisibile consiste nel praticare sotto terra quelli che vengono chiamati lavori di galleria... Raggiunte le fondazioni dei bastioni, vi si pratica, scalzando le mura, una larga breccia e per ritardarne il crollo vi si piazzano sotto dei supporti temporanei (puntelli, assi) di legno molto secco, ai quali si aggiungono tralci ad altre materie infiammabili. Nel momento in cui le truppe sono pronte per l'assalto, si dà fuoco a tutto questo materiale sotterraneo, che bruciando, provoca la caduta della cortina e determina l'apertura di una breccia nella fortezza». Questo metodo venne impiegato a più riprese negli assedi medievali rivelandosi, il più delle volte, risolutivo. Un altro sistema per attaccare la base delle cortine era effettuato attraverso l'impiego di speciali testuggini, più spesso chiamati gatti, gatte o "gatto castello" (se la stessa era anche dotata di una torre, nei cui piani superiori erano schierate anche macchine da lancio). Questa macchina, una volta conseguito l'approccio alle mura, permetteva di scalzare la base della cortina, al coperto, per poi provocarne il crollo, con lo stesso metodo dei lavori in galleria.

Conclusione Le tecniche ossidionali impiegate nel corso del medioevo sono sostanzialmente semplici e possono essere così sintetizzate: assedio in piena regola (blocco) con l'uso di controvallazioni; assalto tradizionale, possibilmente di sorpresa; impiego generalizzato di armi non convenzionali come "fame" e "paura"; utilizzo di metodi di guerra di tipo "chimico"; attacco alla base delle cortine murarie con lavori di galleria o di scavo. Fra i materiali più comunemente utilizzati in queste operazioni sono da ricordare: le scale, i graticci, l'ariete, le torri, il gatto, lo scorpione e l'onagro (che lanciava saettoni, verrettoni e quadrelli) e le macchine da getto (catapulte e petriere, che lanciano pietre, materiale vario e proiettili incendiari). In definitiva, fino alla fine del XIII secolo e con la contemporanea comparsa della macchine da lancio a contrappeso, l'arsenale dello stratega ossidionale del medioevo e le metodologie applicate non differivano di molto da quelle degli uomini dell'antichità. Questa similitudine spiega il perché del successo goduto dagli antichi autori durante tutto il periodo medievale.

BIBLIOGRAFIA

* The medieval warfare, di J. Bradbury - Woodbridge, 1994 La guerra nel Medioevo, di P. Contamine - il Mulino, Bologna, 1996
* Dalle caverne ai rifugi, di A. Cassi Ramelli - Nuova Accademia, Milano, 1964
* Storia delle Fortificazioni, di J. Hoog - De Agostini, Novara, 1982
* La guerra nel Medioevo, di A. Settia - Laterza, Bari, 2004
* Epitoma rei militaris (L'arte militare), di F.R. Vegezio - Istituto Poligrafico dello Stato, 2009
* Dizionario di Architettura Medievale, di E. Viollet le Duc
* De Architectura, di Vitruvio
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