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IL RISORGIMENTO ITALIANO, UNA INTRODUZIONE
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IL RISORGIMENTO ITALIANO, UNA INTRODUZIONE
« I nomi del Risorgimento sono vivi, sono dentro di noi, ci appartengono. »
(Carlo Azeglio Ciampi in Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 7 luglio 2004, p.14)
Il Risorgimento fu il periodo della storia d'Italia durante il quale la nazione italiana - stanziata a sud dello spartiacque alpino e occupante tutta la penisola italiana e le isole di Sardegna, Sicilia e gli arcipelaghi minori - conseguì la propria unità nazionale.
Il termine richiama l'idea di una resurrezione della nazione italiana attraverso la conquista dell'unità nazionale per lungo tempo perduta. Tuttavia, per quanto questa visione idealizzata del periodo sia, da talune interpretazioni moderne, riveduta in un concetto più ampio della situazione italiana ed internazionale e la stessa unificazione venga vista a volte più come un processo di espansione del regno di Sardegna che come un processo collettivo, il termine è ormai accettato ed ha assunto valenza storica per questo periodo della storia d'Italia.
Il problema della datazione
La datazione convenzionale sui limiti cronologici del Risorgimento risente evidentemente dell'interpretazione storiografica riguardo a tale periodo e perciò non esiste accordo fra gli storici sulla sua determinazione temporale, formale ed ideale.
Esiste inoltre un collegamento tra un "Risorgimento letterario" e uno politico per il quale si scrisse di Risorgimento italiano in senso esclusivamente culturale fin dalla fine del XVIII secolo.
La prima estensione dell'ideale letterario a fatto politico e sociale della rinascita dell'Italia si ebbe con Vittorio Alfieri (1749-1803), non a caso definito da Walter Maturi il «primo intellettuale uomo libero del Risorgimento»,[1] vero e proprio storico dell'età risorgimentale, che diede inizio a quel filone letterario e politico risorgimentale che si sviluppò nei primi decenni del XIX secolo. La datazione più accreditata è quella 1815-1870, anche se i pareri sono difformi. Come fenomeno politico il Risorgimento viene invece compreso da taluni storici fra il proclama di Rimini (1815) e la presa di Roma da parte dell'esercito italiano (1870), da altri, fra i primi moti costituzionali del 1820-1821 e la proclamazione del Regno d'Italia (1861) e/o il termine della terza guerra d'indipendenza (1866), da altri ancora, in senso lato, fra l'età riformista (seconda metà del XVIII secolo)[2] e/o napoleonica (1796-1815)[3] e il riscatto delle terre irredente dell'Italia nord-orientale (Trentino e Venezia Giulia) a seguito della prima guerra mondiale.[4] Anche la Resistenza italiana (1943-1945) è stata talvolta ricollegata idealmente al Risorgimento.
Premesse
Il Risorgimento italiano trae origine idealmente da diverse tradizioni storiche. In epoca romana l'Italia, unita politicamente, fu privilegiata da Augusto e dai suoi successori che costruirono una fitta rete stradale e abbellirono le città dotandole di numerose strutture pubbliche (evergetismo augusteo).
Tuttavia, il carattere imperiale delle conquiste effettuate da Roma e dai socii italici, finirono per snaturare il carattere nazionale che la penisola stava acquisendo sul finire del I secolo a.C.
L'Italia fu la parte più privilegiata dell'impero: tutti i suoi abitanti liberi venivano considerati cittadini romani, venendo esentati della tassa diretta, eccetto la nuova tassa sulle eredità creata per finanziare i bisogni militari (pensione dei veterani).
In seguito l'unità non venne meno col regno degli Ostrogoti, che fu la prima di tante occasioni mancate nel Medioevo per affermare anche in Italia il processo di formazione di una coscienza nazionale come in altri paesi europei, ma si ruppe, dopo l'intervento diretto dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I e alla susseguente guerra gotica (535-553), cui fece seguito l'invasione longobarda e la conseguente spartizione della penisola.
I Longobardi tendevano a rimanere separati e considerarsi superiori sotto il profilo politico e militare alle popolazioni italiche, che un tempo avevano conquistato il mondo sotto le aquile romane, ma con gli anni finirono sempre più per fondersi con la componente latina, e tentarono anch'essi, sull'esempio romano e ostrogoto, di unificare la penisola e dare una base nazionale al loro regno. Anche tale tentativo venne frustrato dall'intervento dei Franchi, richiamati da papa Adriano I per proteggere i possedimenti temporali della Chiesa.
Prima dell'invasione franca infatti, il Regnum Langobardorum si identificava con la massima parte dell'Italia peninsulare e continentale e gli stessi re longobardi, dal VII secolo, non si consideravano più solo re dei longobardi, ma dei due popoli (longobardi e italici di lingua latina) posti sotto la propria sovranità nei territori non bizantini e dell'Italia tutta (Dei rex totius Italiae). I vincitori si erano pertanto gradualmente romanizzati, abbracciando la cultura dei vinti grazie anche all'accettazione del latino come unica lingua scritta dello Stato e come strumento di comunicazione privilegiato a livello giuridico e amministrativo. I Franchi, che, come si è già accennato, si sostituirono ai Longobardi (seconda metà dell'VIII secolo), tentarono di ricostituire, con Carlo Magno l'Impero, che prese corpo definitivamente un secolo e mezzo più tardi, con un sovrano germanico, Ottone I di Sassonia. Il Regno d'Italia era legato a questo grande organismo statuale da vincoli di vassallaggio, dai quali vanamente cercò di sottrarsi. Il più celebre fra tali tentativi di affrancamento è sicuramente quello di Arduino d'Ivrea, personaggio considerato, a ragione o a torto, antesignano dei patrioti risorgimentali ottocenteschi. Costui, attorno all'anno 1000, condusse, sostenuto dalla nobiltà laica del nord Italia, alcune campagne militari per liberare l'Italia dalla tutela germanica.
Con la formazione dei comuni e delle signorie, la comune appartenenza nazionale sembrò venir meno, sopraffatta dagli interessi locali in un'Italia divisa in stati, spesso in lotta fra di loro. In realtà fu proprio in questo periodo in cui si formò, secondo taluni, l'Italia come nazione, «...forse...la più precoce delle nazioni europee...», e in cui, secondo alcuni storici, si produsse ad opera di Federico II di Svevia il primo serio tentativo di unificazione peninsulare. Tale tentativo, secondo altre correnti storiografiche, fu invece espressione della volontà di una politica espansionistica di assoggettamento ad opera del sovrano italo-tedesco, tesa a favorire l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche, sottraendo l'Italia dall'influenza papale e sottomettendola all'impero germanico.
In quegli stessi secoli la grandezza passata era ancora viva nei poeti e nei letterati, che cantarono lodi all'Italia e si rammaricarono della sua situazione. Il sentimento di comune appartenenza nazionale sembrò maturare presso gli intellettuali del tempo in concomitanza con la formazione di una lingua nazionale italiana, primo ideale elemento di una coscienza collettiva di popolo. Anche grazie a tali letterati e intellettuali, fra cui emersero le figure universali di Dante, Petrarca e Boccaccio, che ebbero scambi culturali senza tener conto dei confini regionali e locali, la lingua italiana dotta si sviluppò rapidamente, riuscendo a mantenersi, evolversi e diffondersi nei secoli successivi anche nelle più difficili temperie politiche, pur rimanendo per molti secoli patrimonio di una classe colta elitaria.
Già in Machiavelli e Guicciardini si dibatteva nel XVI secolo, il problema della perdita dell'indipendenza politica dell'Italia, convertitasi prima in un campo di battaglia fra Francia e Spagna e poi caduta sotto la dominazione di quest'ultima. Pur con programmi diversi, il primo fautore di uno stato accentrato, l'altro di uno federale, concordavano che tutto era avvenuto a causa dell'individualismo e della mancanza di senso dello stato tipica delle varie popolazioni italiane.
Tuttavia non fu che con l'arrivo delle truppe napoleoniche nella penisola che si cominciò a diffondere presso strati sempre più ampi di popolazione un sentimento nazionale italiano, fino ad allora percepito da una ristretta cerchia di intellettuali, aristocratici e borghesi illuminati.[8] Il primo accenno che dava testimonianza di una iniziale presa di coscienza popolare si può rintracciare nel Proclama di Rimini, anche se rimasto del tutto inascoltato, in cui Gioacchino Murat, il 30 marzo 1815, durante la guerra austro-napoletana, rivolse un interessato appello a tutti gli italiani affinché si unissero per salvare il regno posto sotto la sua sovranità, unico garante della loro indipendenza nazionale contro un occupante straniero.
Le idee e gli uomini
Le idee liberali, le speranze suscitate dall'Illuminismo e i valori della Rivoluzione francese furono portate in Italia da Napoleone sulla punta delle baionette dell'Armée d'Italie. Rovesciati gli stati preesistenti, i francesi, deludendo le speranze dei patrioti "giacobini" italiani, si erano stabilmente insediati nella Pianura Padana, creando repubbliche su modello francese (Repubblica Cispadana), rivoluzionando la vita del tempo, portando sì idee nuove, ma facendone anche ricadere il costo sulla economia locale. Era nato così un crogiolo di aspettative e di ideali, alcuni incompatibili tra loro: vi erano in campo quelli romantico-nazionalisti, repubblicani, socialisti o anticlericali, liberali, i monarchici filo Savoia o papalini, laici e clericali, vi era l'ambizione espansionista di Casa Savoia tendente a raggiungere l'unità della Pianura Padana, vi era il bisogno di liberarsi dal dominio austriaco nel Regno del Lombardo-Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnico-industriale, superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano stati in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un'idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno stato nazionale analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.
Le personalità di spicco in questo processo furono molte tra cui: Giuseppe Mazzini, figura eminente del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo; Giuseppe Garibaldi, repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa ed in Sud America; Camillo Benso conte di Cavour, statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del Regno di Sardegna; Vittorio Emanuele II di Savoia, abile a concretizzare il contesto favorevole con la costituzione del Regno d'Italia.
Vi furono gli unitaristi repubblicani e federalisti radicali contrari alla monarchia come Nicolò Tommaseo e Carlo Cattaneo; vi furono cattolici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che auspicavano una confederazione di stati italiani sotto la presidenza del Papa o della stessa dinastia sabauda; vi furono docenti ed economisti come Giacinto Albini e Pietro Lacava, divulgatori di ideali mazziniani soprattutto nel meridione.
(Carlo Azeglio Ciampi in Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 7 luglio 2004, p.14)
Il Risorgimento fu il periodo della storia d'Italia durante il quale la nazione italiana - stanziata a sud dello spartiacque alpino e occupante tutta la penisola italiana e le isole di Sardegna, Sicilia e gli arcipelaghi minori - conseguì la propria unità nazionale.
Il termine richiama l'idea di una resurrezione della nazione italiana attraverso la conquista dell'unità nazionale per lungo tempo perduta. Tuttavia, per quanto questa visione idealizzata del periodo sia, da talune interpretazioni moderne, riveduta in un concetto più ampio della situazione italiana ed internazionale e la stessa unificazione venga vista a volte più come un processo di espansione del regno di Sardegna che come un processo collettivo, il termine è ormai accettato ed ha assunto valenza storica per questo periodo della storia d'Italia.
Il problema della datazione
La datazione convenzionale sui limiti cronologici del Risorgimento risente evidentemente dell'interpretazione storiografica riguardo a tale periodo e perciò non esiste accordo fra gli storici sulla sua determinazione temporale, formale ed ideale.
Esiste inoltre un collegamento tra un "Risorgimento letterario" e uno politico per il quale si scrisse di Risorgimento italiano in senso esclusivamente culturale fin dalla fine del XVIII secolo.
La prima estensione dell'ideale letterario a fatto politico e sociale della rinascita dell'Italia si ebbe con Vittorio Alfieri (1749-1803), non a caso definito da Walter Maturi il «primo intellettuale uomo libero del Risorgimento»,[1] vero e proprio storico dell'età risorgimentale, che diede inizio a quel filone letterario e politico risorgimentale che si sviluppò nei primi decenni del XIX secolo. La datazione più accreditata è quella 1815-1870, anche se i pareri sono difformi. Come fenomeno politico il Risorgimento viene invece compreso da taluni storici fra il proclama di Rimini (1815) e la presa di Roma da parte dell'esercito italiano (1870), da altri, fra i primi moti costituzionali del 1820-1821 e la proclamazione del Regno d'Italia (1861) e/o il termine della terza guerra d'indipendenza (1866), da altri ancora, in senso lato, fra l'età riformista (seconda metà del XVIII secolo)[2] e/o napoleonica (1796-1815)[3] e il riscatto delle terre irredente dell'Italia nord-orientale (Trentino e Venezia Giulia) a seguito della prima guerra mondiale.[4] Anche la Resistenza italiana (1943-1945) è stata talvolta ricollegata idealmente al Risorgimento.
Premesse
Il Risorgimento italiano trae origine idealmente da diverse tradizioni storiche. In epoca romana l'Italia, unita politicamente, fu privilegiata da Augusto e dai suoi successori che costruirono una fitta rete stradale e abbellirono le città dotandole di numerose strutture pubbliche (evergetismo augusteo).
Tuttavia, il carattere imperiale delle conquiste effettuate da Roma e dai socii italici, finirono per snaturare il carattere nazionale che la penisola stava acquisendo sul finire del I secolo a.C.
L'Italia fu la parte più privilegiata dell'impero: tutti i suoi abitanti liberi venivano considerati cittadini romani, venendo esentati della tassa diretta, eccetto la nuova tassa sulle eredità creata per finanziare i bisogni militari (pensione dei veterani).
In seguito l'unità non venne meno col regno degli Ostrogoti, che fu la prima di tante occasioni mancate nel Medioevo per affermare anche in Italia il processo di formazione di una coscienza nazionale come in altri paesi europei, ma si ruppe, dopo l'intervento diretto dell'imperatore d'Oriente Giustiniano I e alla susseguente guerra gotica (535-553), cui fece seguito l'invasione longobarda e la conseguente spartizione della penisola.
I Longobardi tendevano a rimanere separati e considerarsi superiori sotto il profilo politico e militare alle popolazioni italiche, che un tempo avevano conquistato il mondo sotto le aquile romane, ma con gli anni finirono sempre più per fondersi con la componente latina, e tentarono anch'essi, sull'esempio romano e ostrogoto, di unificare la penisola e dare una base nazionale al loro regno. Anche tale tentativo venne frustrato dall'intervento dei Franchi, richiamati da papa Adriano I per proteggere i possedimenti temporali della Chiesa.
Prima dell'invasione franca infatti, il Regnum Langobardorum si identificava con la massima parte dell'Italia peninsulare e continentale e gli stessi re longobardi, dal VII secolo, non si consideravano più solo re dei longobardi, ma dei due popoli (longobardi e italici di lingua latina) posti sotto la propria sovranità nei territori non bizantini e dell'Italia tutta (Dei rex totius Italiae). I vincitori si erano pertanto gradualmente romanizzati, abbracciando la cultura dei vinti grazie anche all'accettazione del latino come unica lingua scritta dello Stato e come strumento di comunicazione privilegiato a livello giuridico e amministrativo. I Franchi, che, come si è già accennato, si sostituirono ai Longobardi (seconda metà dell'VIII secolo), tentarono di ricostituire, con Carlo Magno l'Impero, che prese corpo definitivamente un secolo e mezzo più tardi, con un sovrano germanico, Ottone I di Sassonia. Il Regno d'Italia era legato a questo grande organismo statuale da vincoli di vassallaggio, dai quali vanamente cercò di sottrarsi. Il più celebre fra tali tentativi di affrancamento è sicuramente quello di Arduino d'Ivrea, personaggio considerato, a ragione o a torto, antesignano dei patrioti risorgimentali ottocenteschi. Costui, attorno all'anno 1000, condusse, sostenuto dalla nobiltà laica del nord Italia, alcune campagne militari per liberare l'Italia dalla tutela germanica.
Con la formazione dei comuni e delle signorie, la comune appartenenza nazionale sembrò venir meno, sopraffatta dagli interessi locali in un'Italia divisa in stati, spesso in lotta fra di loro. In realtà fu proprio in questo periodo in cui si formò, secondo taluni, l'Italia come nazione, «...forse...la più precoce delle nazioni europee...», e in cui, secondo alcuni storici, si produsse ad opera di Federico II di Svevia il primo serio tentativo di unificazione peninsulare. Tale tentativo, secondo altre correnti storiografiche, fu invece espressione della volontà di una politica espansionistica di assoggettamento ad opera del sovrano italo-tedesco, tesa a favorire l'instaurarsi di signorie ghibelline a lui amiche, sottraendo l'Italia dall'influenza papale e sottomettendola all'impero germanico.
In quegli stessi secoli la grandezza passata era ancora viva nei poeti e nei letterati, che cantarono lodi all'Italia e si rammaricarono della sua situazione. Il sentimento di comune appartenenza nazionale sembrò maturare presso gli intellettuali del tempo in concomitanza con la formazione di una lingua nazionale italiana, primo ideale elemento di una coscienza collettiva di popolo. Anche grazie a tali letterati e intellettuali, fra cui emersero le figure universali di Dante, Petrarca e Boccaccio, che ebbero scambi culturali senza tener conto dei confini regionali e locali, la lingua italiana dotta si sviluppò rapidamente, riuscendo a mantenersi, evolversi e diffondersi nei secoli successivi anche nelle più difficili temperie politiche, pur rimanendo per molti secoli patrimonio di una classe colta elitaria.
Già in Machiavelli e Guicciardini si dibatteva nel XVI secolo, il problema della perdita dell'indipendenza politica dell'Italia, convertitasi prima in un campo di battaglia fra Francia e Spagna e poi caduta sotto la dominazione di quest'ultima. Pur con programmi diversi, il primo fautore di uno stato accentrato, l'altro di uno federale, concordavano che tutto era avvenuto a causa dell'individualismo e della mancanza di senso dello stato tipica delle varie popolazioni italiane.
Tuttavia non fu che con l'arrivo delle truppe napoleoniche nella penisola che si cominciò a diffondere presso strati sempre più ampi di popolazione un sentimento nazionale italiano, fino ad allora percepito da una ristretta cerchia di intellettuali, aristocratici e borghesi illuminati.[8] Il primo accenno che dava testimonianza di una iniziale presa di coscienza popolare si può rintracciare nel Proclama di Rimini, anche se rimasto del tutto inascoltato, in cui Gioacchino Murat, il 30 marzo 1815, durante la guerra austro-napoletana, rivolse un interessato appello a tutti gli italiani affinché si unissero per salvare il regno posto sotto la sua sovranità, unico garante della loro indipendenza nazionale contro un occupante straniero.
Le idee e gli uomini
Le idee liberali, le speranze suscitate dall'Illuminismo e i valori della Rivoluzione francese furono portate in Italia da Napoleone sulla punta delle baionette dell'Armée d'Italie. Rovesciati gli stati preesistenti, i francesi, deludendo le speranze dei patrioti "giacobini" italiani, si erano stabilmente insediati nella Pianura Padana, creando repubbliche su modello francese (Repubblica Cispadana), rivoluzionando la vita del tempo, portando sì idee nuove, ma facendone anche ricadere il costo sulla economia locale. Era nato così un crogiolo di aspettative e di ideali, alcuni incompatibili tra loro: vi erano in campo quelli romantico-nazionalisti, repubblicani, socialisti o anticlericali, liberali, i monarchici filo Savoia o papalini, laici e clericali, vi era l'ambizione espansionista di Casa Savoia tendente a raggiungere l'unità della Pianura Padana, vi era il bisogno di liberarsi dal dominio austriaco nel Regno del Lombardo-Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione tecnico-industriale, superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano stati in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un'idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno stato nazionale analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.
Le personalità di spicco in questo processo furono molte tra cui: Giuseppe Mazzini, figura eminente del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo; Giuseppe Garibaldi, repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa ed in Sud America; Camillo Benso conte di Cavour, statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del Regno di Sardegna; Vittorio Emanuele II di Savoia, abile a concretizzare il contesto favorevole con la costituzione del Regno d'Italia.
Vi furono gli unitaristi repubblicani e federalisti radicali contrari alla monarchia come Nicolò Tommaseo e Carlo Cattaneo; vi furono cattolici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che auspicavano una confederazione di stati italiani sotto la presidenza del Papa o della stessa dinastia sabauda; vi furono docenti ed economisti come Giacinto Albini e Pietro Lacava, divulgatori di ideali mazziniani soprattutto nel meridione.
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