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INTRODUZIONE AGLI STUDI STORICI
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INTRODUZIONE AGLI STUDI STORICI
PREMESSA
DIFFERENZE TRA STORIA E STORIOGRAFIA
A cura del professore FABIO UTILI
PERIODIZZAZIONI TRADIZIONALI
A cura del professore FABIO UTILI
LE FONTI
EPOCHE E CIVILTA'
A cura di Gonzague DE REYNOLD
A COSA SERVE LA STORIA?
A cura di Gonzague DE REYNOLD
E' motivato tanto interesse per la storia? Lo è sia perché un popolo che non conosce la sua storia rischia di non avere futuro, sia perchè uno sguardo libero sulla storia si traduce con uno sguardo libero sulla realtà.
Non a caso l'ideologia, perché nemica della verità, è nemica della storia, e dove non arriva ad abolire lo studio della storia (Ungheria, Cambogia) la piega ai suoi scopi.
La storia che noi intendiamo come disciplina argomentativa è anzitutto una storia di uomini, non solo una storia di fatti. I libri di storia si aprono con l'immagine dello scimmione che progressivamente si alza e diventa un uomo. La storia, invece, è fondamentale perché è fatta dall'uomo. Per questo non è possibile fare storia se non ci si chiede chi è l'uomo. L'interesse per lo studio della storia non può venire solo da una curiosità per la propria vicenda personale, o per ciò che mi è vicino.
L'interesse invece nasce invece da una passione che l'insegnante comunica, anche, perché no, narrando, raccontando. Ad esempio, Lussu in "Un anno sull'altipiano", quando racconta che il soldato austriaco, nella sua trincea, sente il profumo di caffè esattamente come il soldato italiano nella trincea di fronte, ci fa immedesimare nella storia. Tante volte si "snobba" questo aspetto narrativo, di immedesimazione, come se questo non fosse valido da un punto di vista scientifico e argomentativo.
Fare storia in modo argomentativo, invece, vuol dire raccontare quello che hanno fatto gli uomini.
Non a caso l'ideologia, perché nemica della verità, è nemica della storia, e dove non arriva ad abolire lo studio della storia (Ungheria, Cambogia) la piega ai suoi scopi.
La storia che noi intendiamo come disciplina argomentativa è anzitutto una storia di uomini, non solo una storia di fatti. I libri di storia si aprono con l'immagine dello scimmione che progressivamente si alza e diventa un uomo. La storia, invece, è fondamentale perché è fatta dall'uomo. Per questo non è possibile fare storia se non ci si chiede chi è l'uomo. L'interesse per lo studio della storia non può venire solo da una curiosità per la propria vicenda personale, o per ciò che mi è vicino.
L'interesse invece nasce invece da una passione che l'insegnante comunica, anche, perché no, narrando, raccontando. Ad esempio, Lussu in "Un anno sull'altipiano", quando racconta che il soldato austriaco, nella sua trincea, sente il profumo di caffè esattamente come il soldato italiano nella trincea di fronte, ci fa immedesimare nella storia. Tante volte si "snobba" questo aspetto narrativo, di immedesimazione, come se questo non fosse valido da un punto di vista scientifico e argomentativo.
Fare storia in modo argomentativo, invece, vuol dire raccontare quello che hanno fatto gli uomini.
DIFFERENZE TRA STORIA E STORIOGRAFIA
A cura del professore FABIO UTILI
Cosa è la storia?
Il termine greco istoria significa vedere, informarsi, sapere; è applicato sia alle inchieste di Erodoto (un po’ romanzate), sia alle descrizioni degli animali di Aristotele (e delle piante di Teofrasto): in questo senso si parla di «storia naturale». A sua volta il termine greco ha una radice sanscrita, da weid che significa ‘visione che serve alla conoscenza’, di qui indagine.
Ecco allora che la storia è costituita dalle fonti stesse, dalle testimonianze (dirette), dalla materia prima documentata o archeologica, dalle rappresentazioni immediate o dalle narrazioni effettuate dai non studiosi, non aggiornate e non elaborate.
Dunque la storia è rappresentata da: avvenimenti + res gestae (azioni), ovvero dagli eventi umani nel loro svolgimento. Questa può essere considerata una definizione base di ‘storia’.
Ma cosa distingue la storia dalla cronaca o dalla narrazione?
Cosa distingue la storia dalla storiografia, rendendo quest’ultima una scienza umana?
La storiografia è propriamente il ‘discorso degli storici’; l’elaborazione e la stesura di un’opera di argomento storico secondo una metodologia. Un’elaborazione di materiali storici, di ‘documenti’ del passato.
Per Marc Bloch è inesatto dire che la storia (o meglio la storiografia) «è la scienza del passato»: «è assurda l’idea stessa che il passato, come tale, possa essere oggetto di scienza... senza una preliminare decantazione potremmo fare oggetto di conoscenza razionale fenomeni non aventi altro carattere comune fuorché quello di non essere stati nostri contemporanei?» (Apologia della storia - PBE, p. 39).
La storia è scienza degli uomini e «degli uomini nel tempo»: però lo storico non pensa all’umano come tale (che è l’oggetto dell’antropologia). Quindi essa è perfettamente una ‘scienza umana’, non narrazione.
Per la nostra cultura (Aristotele, Leibniz,...) «una realtà non si può comprendere in modo migliore che per mezzo delle sue cause»: così la scienza storica è studio delle cause dei comportamenti umani nel tempo.
Scienza dei comportamenti: ecco che tanti pensano che dopo il 1940 o il 1980 (spostando sempre il limite) non sia più storia, ma politica o sociologia o giornalismo (cronaca). Bisogna proporre di nuovo la domanda: dove sta la differenza fra storia e cronaca?
Nel metodo, nel fare analisi storica, cioè nel fare storiografia. La storiografia mostra i comportamenti del passato per meglio comprendere il presente ed agire in esso; ma allo stesso tempo i miei metodi e i miei interessi per il passato sono influenzati dai problemi del presente per cui io «comprendo il passato mediante il presente» (cit. p. 54). Questo è il fine pragmatico della storia/grafia.
Una scienza si definisce (oltre che come ricerca delle cause, o delle spiegazioni per una scienza umana - e spiegazioni delle relazioni nel passato e nell’insieme presente-passato, inteso come sviluppo del tempo umano -) per il suo metodo.
Per definire il metodo storico si può seguire Marrou. La storia è «conoscenza (non narrazione) del passato umano», conoscenza scientificamente elaborata e non solo studio e ricerca (di cause): la storia è scienza del concreto, del singolare. Ma la scienza, come episteme (nel senso preciso di conoscenza vera, delle cause) è scienza del generale, allora la storia non è episteme, ma techne ossia «conoscenza diversa da quella volgare dell’esperienza quotidiana elaborata in funzione di un metodo sistematico e rigoroso che si rivela come fattore optimum di verità.» (La conoscenza storica - UP Mulino, p. 32)
Ciò che fa della storia una scienza è allora la sistematicità e rigorosità del metodo applicato a un insieme di fatti unici, cioè irripetibili esattamente allo stesso modo, ma anche conoscibili ed indagabili con: a) un metodo univoco; b) una comprensione di relazioni causali, motivazionali, di significato.
La storiografia è scientifica per il metodo; per la validità applicativa (techne) del modello, per la sua capacità esplicativa di fatti, uomini e comportamenti, pur restando ferma la molteplicità dei modelli storiografici scelti soggettivamente assieme all'uso di materiali da: documenti (scritti), archeologia, numismatica, toponomastica, geografia, economia, antropologia, narrativa, cronache; si hanno così la storia economica, demografica, sociale, politica, materiale, religiosa, locale (microstoria)...
A questo punto occorre concludere che la validità storica, come validità di una technee di una scienza umana , dipende dal buon senso e dall’onestà intellettuale dello storico (ma tale osservazione vale anche per qualunque disciplina della conoscenza umana): come per la cartografia occorre che la proiezione scelta non distorca troppo.
Sulla validità applicativa del modello bisogna tener presente che per Max Weber «la metodologia può essere sempre e soltanto una riflessione sui mezzi che hanno trovato conferma nella prassi» (Il metodo delle scienze storico-sociali - Einaudi, p. 147). Il processo di comparazione e classificazione dei dati è inscindibile dal lavoro dello storico, come da qualunque altra metodologia scientifica (quindi la storia locale non può essere fine a se stessa, ma collocata nella delineazione di un quadro complessivo)
Il termine greco istoria significa vedere, informarsi, sapere; è applicato sia alle inchieste di Erodoto (un po’ romanzate), sia alle descrizioni degli animali di Aristotele (e delle piante di Teofrasto): in questo senso si parla di «storia naturale». A sua volta il termine greco ha una radice sanscrita, da weid che significa ‘visione che serve alla conoscenza’, di qui indagine.
Ecco allora che la storia è costituita dalle fonti stesse, dalle testimonianze (dirette), dalla materia prima documentata o archeologica, dalle rappresentazioni immediate o dalle narrazioni effettuate dai non studiosi, non aggiornate e non elaborate.
Dunque la storia è rappresentata da: avvenimenti + res gestae (azioni), ovvero dagli eventi umani nel loro svolgimento. Questa può essere considerata una definizione base di ‘storia’.
Ma cosa distingue la storia dalla cronaca o dalla narrazione?
Cosa distingue la storia dalla storiografia, rendendo quest’ultima una scienza umana?
La storiografia è propriamente il ‘discorso degli storici’; l’elaborazione e la stesura di un’opera di argomento storico secondo una metodologia. Un’elaborazione di materiali storici, di ‘documenti’ del passato.
Per Marc Bloch è inesatto dire che la storia (o meglio la storiografia) «è la scienza del passato»: «è assurda l’idea stessa che il passato, come tale, possa essere oggetto di scienza... senza una preliminare decantazione potremmo fare oggetto di conoscenza razionale fenomeni non aventi altro carattere comune fuorché quello di non essere stati nostri contemporanei?» (Apologia della storia - PBE, p. 39).
La storia è scienza degli uomini e «degli uomini nel tempo»: però lo storico non pensa all’umano come tale (che è l’oggetto dell’antropologia). Quindi essa è perfettamente una ‘scienza umana’, non narrazione.
Per la nostra cultura (Aristotele, Leibniz,...) «una realtà non si può comprendere in modo migliore che per mezzo delle sue cause»: così la scienza storica è studio delle cause dei comportamenti umani nel tempo.
Scienza dei comportamenti: ecco che tanti pensano che dopo il 1940 o il 1980 (spostando sempre il limite) non sia più storia, ma politica o sociologia o giornalismo (cronaca). Bisogna proporre di nuovo la domanda: dove sta la differenza fra storia e cronaca?
Nel metodo, nel fare analisi storica, cioè nel fare storiografia. La storiografia mostra i comportamenti del passato per meglio comprendere il presente ed agire in esso; ma allo stesso tempo i miei metodi e i miei interessi per il passato sono influenzati dai problemi del presente per cui io «comprendo il passato mediante il presente» (cit. p. 54). Questo è il fine pragmatico della storia/grafia.
Una scienza si definisce (oltre che come ricerca delle cause, o delle spiegazioni per una scienza umana - e spiegazioni delle relazioni nel passato e nell’insieme presente-passato, inteso come sviluppo del tempo umano -) per il suo metodo.
Per definire il metodo storico si può seguire Marrou. La storia è «conoscenza (non narrazione) del passato umano», conoscenza scientificamente elaborata e non solo studio e ricerca (di cause): la storia è scienza del concreto, del singolare. Ma la scienza, come episteme (nel senso preciso di conoscenza vera, delle cause) è scienza del generale, allora la storia non è episteme, ma techne ossia «conoscenza diversa da quella volgare dell’esperienza quotidiana elaborata in funzione di un metodo sistematico e rigoroso che si rivela come fattore optimum di verità.» (La conoscenza storica - UP Mulino, p. 32)
Ciò che fa della storia una scienza è allora la sistematicità e rigorosità del metodo applicato a un insieme di fatti unici, cioè irripetibili esattamente allo stesso modo, ma anche conoscibili ed indagabili con: a) un metodo univoco; b) una comprensione di relazioni causali, motivazionali, di significato.
La storiografia è scientifica per il metodo; per la validità applicativa (techne) del modello, per la sua capacità esplicativa di fatti, uomini e comportamenti, pur restando ferma la molteplicità dei modelli storiografici scelti soggettivamente assieme all'uso di materiali da: documenti (scritti), archeologia, numismatica, toponomastica, geografia, economia, antropologia, narrativa, cronache; si hanno così la storia economica, demografica, sociale, politica, materiale, religiosa, locale (microstoria)...
A questo punto occorre concludere che la validità storica, come validità di una technee di una scienza umana , dipende dal buon senso e dall’onestà intellettuale dello storico (ma tale osservazione vale anche per qualunque disciplina della conoscenza umana): come per la cartografia occorre che la proiezione scelta non distorca troppo.
Sulla validità applicativa del modello bisogna tener presente che per Max Weber «la metodologia può essere sempre e soltanto una riflessione sui mezzi che hanno trovato conferma nella prassi» (Il metodo delle scienze storico-sociali - Einaudi, p. 147). Il processo di comparazione e classificazione dei dati è inscindibile dal lavoro dello storico, come da qualunque altra metodologia scientifica (quindi la storia locale non può essere fine a se stessa, ma collocata nella delineazione di un quadro complessivo)
PERIODIZZAZIONI TRADIZIONALI
A cura del professore FABIO UTILI
La periodizzazione tradizionale (e convenzionale) della storia vuole farla iniziare attorno al 3000 a. C. quando, in avanzata età neolitica, viene scoperta la scrittura, si hanno così:
EVO ANTICO con la civiltà dell’antico oriente dal IV millennio alla conquista di Alessandro nel 330 a. C.;
la civiltà greca, dopo il Medio Evo ellenico, dall’VIII al II sec. a. C. con la conquista romana;
la civiltà romana dalla mitica fondazione nel 753 a. C. alla fine dell’impero d’Occidente nel 476 d. C.
EVO MEDIO: dal 476 al 1492 d. C. col 1000 che separa alto e basso Medio Evo, ma già tutto il XV sec. è età umanistica;
EVO MODERNO: dal 1492 al 1914;
ETA’ CONTEMPORANEA: dal 1914 a oggi.
L’individuazione di date fisse, per quanto relative ad avvenimenti fondamentali, nella periodizzazione storica è sicuramente convenzionale e non sempre completamente soddisfacente sotto tutti gli aspetti.
Il 476 d.C. non è colto da chi lo vive come la fine di una grande epoca, semplicemente si assiste all’invio delle insegne imperiali a Bisanzio, dunque poteva essere un altro periodo di vacanza...
Solo alla fine del V secolo ci si rende conto che l’impero è finito e i Regni romano-barbarici assumono caratteri più spiccatamente autonomi. Tuttavia, se si afferma che l’impero romano finisce sia per le debolezze interne sia per la pressione esterna delle popolazioni germaniche, queste debolezze, i primi sfondamenti del limes, nonché la formazione di regni romano-barbarici sono già iniziati nel IV secolo (330 circa).
Anche l’anno 1000 ha aspetti convenzionali: se il basso medio evo è un’età di ripresa demografica e economica, questa ripresa risulta più precisa e evidente solo dal XII secolo (anche se i primi comuni italiani sorgono poco prima dell’anno 1000): allora una data ugualmente importante è il 1122 (Worms).
Ancor più il 1492 viene a includere tutta l’età umanistica nel Medio Evo e da questo punto di vista sarebbe opportuna una anticipazione della fine dell’età di mezzo; fermo restando che si può parlare di un lungo autunno del Medio Evo...
EVO ANTICO con la civiltà dell’antico oriente dal IV millennio alla conquista di Alessandro nel 330 a. C.;
la civiltà greca, dopo il Medio Evo ellenico, dall’VIII al II sec. a. C. con la conquista romana;
la civiltà romana dalla mitica fondazione nel 753 a. C. alla fine dell’impero d’Occidente nel 476 d. C.
EVO MEDIO: dal 476 al 1492 d. C. col 1000 che separa alto e basso Medio Evo, ma già tutto il XV sec. è età umanistica;
EVO MODERNO: dal 1492 al 1914;
ETA’ CONTEMPORANEA: dal 1914 a oggi.
L’individuazione di date fisse, per quanto relative ad avvenimenti fondamentali, nella periodizzazione storica è sicuramente convenzionale e non sempre completamente soddisfacente sotto tutti gli aspetti.
Il 476 d.C. non è colto da chi lo vive come la fine di una grande epoca, semplicemente si assiste all’invio delle insegne imperiali a Bisanzio, dunque poteva essere un altro periodo di vacanza...
Solo alla fine del V secolo ci si rende conto che l’impero è finito e i Regni romano-barbarici assumono caratteri più spiccatamente autonomi. Tuttavia, se si afferma che l’impero romano finisce sia per le debolezze interne sia per la pressione esterna delle popolazioni germaniche, queste debolezze, i primi sfondamenti del limes, nonché la formazione di regni romano-barbarici sono già iniziati nel IV secolo (330 circa).
Anche l’anno 1000 ha aspetti convenzionali: se il basso medio evo è un’età di ripresa demografica e economica, questa ripresa risulta più precisa e evidente solo dal XII secolo (anche se i primi comuni italiani sorgono poco prima dell’anno 1000): allora una data ugualmente importante è il 1122 (Worms).
Ancor più il 1492 viene a includere tutta l’età umanistica nel Medio Evo e da questo punto di vista sarebbe opportuna una anticipazione della fine dell’età di mezzo; fermo restando che si può parlare di un lungo autunno del Medio Evo...
LE FONTI
La storia, una scienza che ha come obiettivo la ricostruzione e la comprensione del passato, utilizza come punto di partenza per la sua ricerca documenti o FONTI che possano fornire una testimonianza utile per conoscere meglio un determinato periodo.
Generalmente le fonti vengono divise in primarie e secondarie:
- le fonti PRIMARIE appartengono al periodo che lo storico vuole studiare (ad esempio, le incisioni tracciate da un uomo preistorico sulle pareti di una grotta, un frammento di ceramica, delle armi, un utensile, una statua, un edificio, ecc.);
- le fonti SECONDARIE risalgono ad epoche successive (ad esempio le opere storiche, testimonianze posteriori di un’epoca).
Accanto a questo generale criterio di classificazione, un’ulteriore selezione distingue tra fonti materiali e fonti scritte.
- Le fonti MATERIALI possono essere costituite da crani, scheletri, strumenti, luoghi di sepoltura, resti di animali o vegetali, pitture, templi, palazzi, gioielli, monete, sculture. Lo studio delle fonti materiali è oggetto di una serie di discipline scientifiche, come la paleontologia, che ricostruisce flora e fauna di epoche remote attraverso l’osservazione di resti fossili, l’archeologia, che si occupa di studiare le testimonianze riportate alla luce grazie ad operazioni di scavo sul terreno, la numismatica, che si interessa delle informazioni fornite dalle monete. Si possono così leggere come fonti storiche anche tutti quegli oggetti che non erano stati costruiti per essere trasmessi ai posteri, ma che forniscono tuttavia informazioni non solo sulla vita materiale e spirituale (l’abitare, il mangiare, il bere il lavorare, l’adorare gli dei, il giocare) ma anche sulla struttura sociale e sulle credenze di una determinata civiltà (ad esempio il corredo funebre nelle tombe egizie, gli oggetti posseduti in vita dal defunto, e le pitture tombali permettono di ricostruire sia l’ambiente sociale sia l’idea dell’oltretomba di quella società).
- Le fonti SCRITTE compaiono nel momento in cui l’umanità impara a scrivere e incide segni e parole su un supporto materiale, che fu dapprima la pietra, in seguito il legno o il metallo, poi tavolette d’argilla, papiri, pergamene, infine la carta. Sono fonti scritte leggi, verbali giudiziari, trattati,
lettere private, contratti ma anche le opere degli storici e tutte le altre fonti cosiddette letterarie, come la poesia, la commedia e la tragedia, la letteratura religiosa, scientifica e filosofica; da queste fonti possiamo ottenere informazioni sulla vita quotidiana, sulla mentalità, sui valori e, più in generale, sulla cultura di una determinata civiltà.
Anche le fonti scritte sono oggetto di discipline specifiche, come l’epigrafia, che studia i testi scolpiti su materiale durevole e la paleografia, la scienza che decifra e legge le scritture antiche.
Generalmente le fonti vengono divise in primarie e secondarie:
- le fonti PRIMARIE appartengono al periodo che lo storico vuole studiare (ad esempio, le incisioni tracciate da un uomo preistorico sulle pareti di una grotta, un frammento di ceramica, delle armi, un utensile, una statua, un edificio, ecc.);
- le fonti SECONDARIE risalgono ad epoche successive (ad esempio le opere storiche, testimonianze posteriori di un’epoca).
Accanto a questo generale criterio di classificazione, un’ulteriore selezione distingue tra fonti materiali e fonti scritte.
- Le fonti MATERIALI possono essere costituite da crani, scheletri, strumenti, luoghi di sepoltura, resti di animali o vegetali, pitture, templi, palazzi, gioielli, monete, sculture. Lo studio delle fonti materiali è oggetto di una serie di discipline scientifiche, come la paleontologia, che ricostruisce flora e fauna di epoche remote attraverso l’osservazione di resti fossili, l’archeologia, che si occupa di studiare le testimonianze riportate alla luce grazie ad operazioni di scavo sul terreno, la numismatica, che si interessa delle informazioni fornite dalle monete. Si possono così leggere come fonti storiche anche tutti quegli oggetti che non erano stati costruiti per essere trasmessi ai posteri, ma che forniscono tuttavia informazioni non solo sulla vita materiale e spirituale (l’abitare, il mangiare, il bere il lavorare, l’adorare gli dei, il giocare) ma anche sulla struttura sociale e sulle credenze di una determinata civiltà (ad esempio il corredo funebre nelle tombe egizie, gli oggetti posseduti in vita dal defunto, e le pitture tombali permettono di ricostruire sia l’ambiente sociale sia l’idea dell’oltretomba di quella società).
- Le fonti SCRITTE compaiono nel momento in cui l’umanità impara a scrivere e incide segni e parole su un supporto materiale, che fu dapprima la pietra, in seguito il legno o il metallo, poi tavolette d’argilla, papiri, pergamene, infine la carta. Sono fonti scritte leggi, verbali giudiziari, trattati,
lettere private, contratti ma anche le opere degli storici e tutte le altre fonti cosiddette letterarie, come la poesia, la commedia e la tragedia, la letteratura religiosa, scientifica e filosofica; da queste fonti possiamo ottenere informazioni sulla vita quotidiana, sulla mentalità, sui valori e, più in generale, sulla cultura di una determinata civiltà.
Anche le fonti scritte sono oggetto di discipline specifiche, come l’epigrafia, che studia i testi scolpiti su materiale durevole e la paleografia, la scienza che decifra e legge le scritture antiche.
EPOCHE E CIVILTA'
A cura di Gonzague DE REYNOLD
Esponendo il 'disegno generale' del suo Discours sur l'histoire universelle Bossuet [Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704)] scrive: «Come, per facilitare il ricordo nella conoscenza dei luoghi, si tengono a mente certe città principali attorno alle quali si pongono le altre, ciascuna alla sua distanza; così, nell'ordine dei secoli, bisogna avere certi tempi segnati da qualche avvenimento, al quale si riferisce tutto il resto. E' quanto si denomina epoca, da un termine greco che significa fermarsi, perché ivi ci si ferma per osservare come da un luogo di riposo tutto quanto è accaduto prima o dopo».
Dunque epoca significa anzitutto avvenimenti notevoli segnati nella storia come posizioni dove ci si deve fermare per vedere. Quindi il termine si applica a ogni spazio di tempo che scorre fra due di questi avvenimenti. Poi la parola assume un significato scientifico. In geologia un'epoca è la durata seguente un grande cambiamento della terra e ne è condizionata finché un altro grande cambiamento sconvolge l'aspetto del globo e trasforma le condizioni della vita. Ora, la geologia è già vicinissima alla storia, dal momento che ne è separata solo dalla geografia.
Chiamo quindi epoca una durata storica fra due cambiamenti: la porta d'entrata e la porta d'uscita. Un'epoca è anche la durata di una civiltà, quindi della società che l'ha in parte ereditata, in parte prodotta. Finalmente, ogni civiltà e ogni società hanno come motore una certa idea, consapevole o inconsapevole, teorica o pratica, dell'uomo e del destino umano.
Un'epoca non è assolutamente statica. All'interno del suo sviluppo passa attraverso trasformazioni successive. Ha una giovinezza, una maturità, una vecchiaia con, al termine, la morte. Infatti le collettività umane vivono per analogia allo stesso modo dell'uomo medesimo, fra una culla e una tomba.
Ma che tomba?
Quando un'epoca ha esaurito il proprio principio vitale, quando non ha più una durata realmente vissuta, quando è già lavorata dall'epoca nuova che si sta formando in essa e ne sta togliendo la sostanza, si produce una rivoluzione nel significato primo del termine: ritorno al punto di partenza, chiusura di un ciclo. Così l'epoca cade in fondo a un periodo vuoto in cui si dissolve. La società si disgrega, i popoli si sradicano e si rimettono in movimento; la curva della civiltà flette e ricompare la barbarie.
Frattanto, con molta incertezza e fatica e lentezza, con avanzate e con ritirate, con convalescenze e con ricadute, un'altra epoca finisce per uscire dal periodo vuoto. Non conosce ancora il proprio nome: gliene daranno uno più tardi gli storici - raramente quello giusto. Avrà ancora gli occhi chiusi per lungo tempo. Saranno necessarie diverse generazioni perché, infine uscita dal cratere e dalle lave, prenda il proprio ritmo. Ma la nuova forma di civiltà non potrà sbocciare prima che la nuova società abbia potuto costituirsi e stabilizzarsi.
Paragonerei questo sviluppo per epoche e periodi vuoti a una lunga catena di montagne, una catena tagliata da depressioni ripide e profonde. Ogni segmento di questa cordigliera s'iscrive fra due di tali depressioni. Risale lentamente dall'una per cadere rapidamente nell'altra. Lo domina una vetta, luminosa come un ghiacciaio al sole. Ma su una vetta vi è poco spazio e non vi si potrebbe restare a lungo.
Dunque epoca significa anzitutto avvenimenti notevoli segnati nella storia come posizioni dove ci si deve fermare per vedere. Quindi il termine si applica a ogni spazio di tempo che scorre fra due di questi avvenimenti. Poi la parola assume un significato scientifico. In geologia un'epoca è la durata seguente un grande cambiamento della terra e ne è condizionata finché un altro grande cambiamento sconvolge l'aspetto del globo e trasforma le condizioni della vita. Ora, la geologia è già vicinissima alla storia, dal momento che ne è separata solo dalla geografia.
Chiamo quindi epoca una durata storica fra due cambiamenti: la porta d'entrata e la porta d'uscita. Un'epoca è anche la durata di una civiltà, quindi della società che l'ha in parte ereditata, in parte prodotta. Finalmente, ogni civiltà e ogni società hanno come motore una certa idea, consapevole o inconsapevole, teorica o pratica, dell'uomo e del destino umano.
Un'epoca non è assolutamente statica. All'interno del suo sviluppo passa attraverso trasformazioni successive. Ha una giovinezza, una maturità, una vecchiaia con, al termine, la morte. Infatti le collettività umane vivono per analogia allo stesso modo dell'uomo medesimo, fra una culla e una tomba.
Ma che tomba?
Quando un'epoca ha esaurito il proprio principio vitale, quando non ha più una durata realmente vissuta, quando è già lavorata dall'epoca nuova che si sta formando in essa e ne sta togliendo la sostanza, si produce una rivoluzione nel significato primo del termine: ritorno al punto di partenza, chiusura di un ciclo. Così l'epoca cade in fondo a un periodo vuoto in cui si dissolve. La società si disgrega, i popoli si sradicano e si rimettono in movimento; la curva della civiltà flette e ricompare la barbarie.
Frattanto, con molta incertezza e fatica e lentezza, con avanzate e con ritirate, con convalescenze e con ricadute, un'altra epoca finisce per uscire dal periodo vuoto. Non conosce ancora il proprio nome: gliene daranno uno più tardi gli storici - raramente quello giusto. Avrà ancora gli occhi chiusi per lungo tempo. Saranno necessarie diverse generazioni perché, infine uscita dal cratere e dalle lave, prenda il proprio ritmo. Ma la nuova forma di civiltà non potrà sbocciare prima che la nuova società abbia potuto costituirsi e stabilizzarsi.
Paragonerei questo sviluppo per epoche e periodi vuoti a una lunga catena di montagne, una catena tagliata da depressioni ripide e profonde. Ogni segmento di questa cordigliera s'iscrive fra due di tali depressioni. Risale lentamente dall'una per cadere rapidamente nell'altra. Lo domina una vetta, luminosa come un ghiacciaio al sole. Ma su una vetta vi è poco spazio e non vi si potrebbe restare a lungo.
A COSA SERVE LA STORIA?
A cura di Gonzague DE REYNOLD
La storia non è assolutamente soltanto il passato. Il passato è solo una parte della storia, quella che abbiamo sotto gli occhi quando ci fermiamo a un certo punto per guardare indietro. La storia è una forza che si impadronisce del passato, spinge il passato sul presente e li spinge entrambi nel futuro.
L'immagine della storia è il fiume.
Sgorga da una sorgente ai piedi di un ghiacciaio. Attraverso i ciottoli, i pezzi di ghiaccio e le lastre di neve indurita, comincia a dividersi in un ruscellamento di fili di acqua, che, brillando al sole, si separano poi si ricongiungono. Subito si gonfia in un torrente che cade di cascata in cascata con un rumore sordo in fondo a una gola oscura. La sua caduta forma un piccolo lago nel quale le sue acque si calmano. Il fiume prende allora la forma di un corso di acqua che si può ancora attraversare saltando da una pietra all'altra. Scivola obliquamente in mezzo ai pascoli fino nella valle sempre più larga, nella quale, ingrossato da affluenti, il fiume, già molto lontano dalla sua sorgente, si sente ora un vero fiume. E va così, largo e limpido, di città in città, di popolo in popolo, di paese in paese; va a gettarsi nel mare, sotto il cielo illimitato.
Il fiume può perdersi nelle foreste oppure nelle sabbie: si ritrova sempre. Può scomparire sotto terra: si riconosce la sua presenza fecondante dai campi più verdi e dagli alberi più alti. Può rallentare e disperdersi nelle paludi: si crede che si sia fermato, ma scorre sempre sotto le acque stagnanti. Può improvvisamente andare in collera, brontolare più forte del tuono, inondare città e campagne, strappare ponti, sfondare case, costringere le popolazioni a fuggire: lo si vede sempre rientrare nel suo letto. Dalla sua sorgente alla sua foce, malgrado tutti gli ostacoli, segue una direzione costante. È uno.
Ecco un'altra domanda che mi è stata spesso posta: a che cosa serve la storia?
Insegna agli uomini a vivere in società. Perciò è una sapienza.
È una sapienza perché è una esperienza. Mostra che gli uomini sanno quello che fanno, ma non possono prevederne tutte le conseguenze. Ci insegna che molte disgrazie, molte catastrofi, molte decadenze, molte degenerescenze hanno il loro punto di partenza in errori morali.
La storia ha questa virtù, ci aiuta a prevedere. In questo senso è una prudenza. La prudenza stessa si definisce una sapienza pratica, quella che deve possedere l'uomo di Stato. Ma se l'uomo di Stato vuole prevedere, e questo è un atto specifico della ragione, deve fondarsi nello stesso tempo sulla conoscenza del presente e sulla esperienza del passato. Chi parla così è san Tommaso di Aquino.
La storia è anche una giustizia. Esige da noi lo sforzo di comprendere prima di giudicare. Ci vieta di condannare il passato sulla base del nostro presente. Ci invita a chiederci incessantemente: che cosa hanno amato, voluto, cercato gli uomini di altri tempi? Che cosa hanno sofferto? Che cosa hanno potuto realizzare, e con quali mezzi? E che cosa noi dobbiamo a loro, a tutti loro, oggi?
In questo modo, la storia diventa una pietà. Gli antichi rappresentavano questa virtù sotto la forma di una donna velata, che brucia incenso su un altare. La pietà che ci insegna la storia corona e illumina la giustizia che dobbiamo ai morti con la gratitudine, il rispetto e l'amore. Infatti, che cosa è un popolo, che cosa è il nostro popolo? Un grande insieme storico, formato più da morti che da viventi.
La storia ci restituisce così il senso del sacro, questo senso che abbiamo perduto e nella cui perdita il dottor Carrel, uno dei più grandi scienziati contemporanei, vedeva la causa prima della nostra decadenza.
Il sacro è la presenza di Dio. La presenza di Dio nella storia è la Provvidenza. La storia è un mistero: da dove viene, dove va? Da dove viene il nostro paese, dove va il nostro paese? Si sente passare nella notte una corrente potente che, qui e là, di luogo in luogo, fa brillare lumi perché non ci perdiamo tutti nelle tenebre, perché ritroviamo il nostro cammino e seguiamo la direzione giusta. Una corrente spirituale che viene da Dio e ritorna a Dio, dopo avere attraversato la vita umana, la vita delle nazioni, e dei secoli, e il tempo.
La storia ci deve essere insegnata per aiutare il nostro paese ad attraversare i tempi.
Un secolo prima di Gesù Cristo, il più illustre oratore della antichità latina, Cicerone, scriveva: «I popoli che si disinteressano della loro storia si condannano a essere sempre fanciulli».
L'immagine della storia è il fiume.
Sgorga da una sorgente ai piedi di un ghiacciaio. Attraverso i ciottoli, i pezzi di ghiaccio e le lastre di neve indurita, comincia a dividersi in un ruscellamento di fili di acqua, che, brillando al sole, si separano poi si ricongiungono. Subito si gonfia in un torrente che cade di cascata in cascata con un rumore sordo in fondo a una gola oscura. La sua caduta forma un piccolo lago nel quale le sue acque si calmano. Il fiume prende allora la forma di un corso di acqua che si può ancora attraversare saltando da una pietra all'altra. Scivola obliquamente in mezzo ai pascoli fino nella valle sempre più larga, nella quale, ingrossato da affluenti, il fiume, già molto lontano dalla sua sorgente, si sente ora un vero fiume. E va così, largo e limpido, di città in città, di popolo in popolo, di paese in paese; va a gettarsi nel mare, sotto il cielo illimitato.
Il fiume può perdersi nelle foreste oppure nelle sabbie: si ritrova sempre. Può scomparire sotto terra: si riconosce la sua presenza fecondante dai campi più verdi e dagli alberi più alti. Può rallentare e disperdersi nelle paludi: si crede che si sia fermato, ma scorre sempre sotto le acque stagnanti. Può improvvisamente andare in collera, brontolare più forte del tuono, inondare città e campagne, strappare ponti, sfondare case, costringere le popolazioni a fuggire: lo si vede sempre rientrare nel suo letto. Dalla sua sorgente alla sua foce, malgrado tutti gli ostacoli, segue una direzione costante. È uno.
Ecco un'altra domanda che mi è stata spesso posta: a che cosa serve la storia?
Insegna agli uomini a vivere in società. Perciò è una sapienza.
È una sapienza perché è una esperienza. Mostra che gli uomini sanno quello che fanno, ma non possono prevederne tutte le conseguenze. Ci insegna che molte disgrazie, molte catastrofi, molte decadenze, molte degenerescenze hanno il loro punto di partenza in errori morali.
La storia ha questa virtù, ci aiuta a prevedere. In questo senso è una prudenza. La prudenza stessa si definisce una sapienza pratica, quella che deve possedere l'uomo di Stato. Ma se l'uomo di Stato vuole prevedere, e questo è un atto specifico della ragione, deve fondarsi nello stesso tempo sulla conoscenza del presente e sulla esperienza del passato. Chi parla così è san Tommaso di Aquino.
La storia è anche una giustizia. Esige da noi lo sforzo di comprendere prima di giudicare. Ci vieta di condannare il passato sulla base del nostro presente. Ci invita a chiederci incessantemente: che cosa hanno amato, voluto, cercato gli uomini di altri tempi? Che cosa hanno sofferto? Che cosa hanno potuto realizzare, e con quali mezzi? E che cosa noi dobbiamo a loro, a tutti loro, oggi?
In questo modo, la storia diventa una pietà. Gli antichi rappresentavano questa virtù sotto la forma di una donna velata, che brucia incenso su un altare. La pietà che ci insegna la storia corona e illumina la giustizia che dobbiamo ai morti con la gratitudine, il rispetto e l'amore. Infatti, che cosa è un popolo, che cosa è il nostro popolo? Un grande insieme storico, formato più da morti che da viventi.
La storia ci restituisce così il senso del sacro, questo senso che abbiamo perduto e nella cui perdita il dottor Carrel, uno dei più grandi scienziati contemporanei, vedeva la causa prima della nostra decadenza.
Il sacro è la presenza di Dio. La presenza di Dio nella storia è la Provvidenza. La storia è un mistero: da dove viene, dove va? Da dove viene il nostro paese, dove va il nostro paese? Si sente passare nella notte una corrente potente che, qui e là, di luogo in luogo, fa brillare lumi perché non ci perdiamo tutti nelle tenebre, perché ritroviamo il nostro cammino e seguiamo la direzione giusta. Una corrente spirituale che viene da Dio e ritorna a Dio, dopo avere attraversato la vita umana, la vita delle nazioni, e dei secoli, e il tempo.
La storia ci deve essere insegnata per aiutare il nostro paese ad attraversare i tempi.
Un secolo prima di Gesù Cristo, il più illustre oratore della antichità latina, Cicerone, scriveva: «I popoli che si disinteressano della loro storia si condannano a essere sempre fanciulli».
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