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Le cause della Rivoluzione Inglese: da Elisabetta I a Giacomo I
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Le cause della Rivoluzione Inglese: da Elisabetta I a Giacomo I
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Durante il XVI secolo sotto la dinastia dei Tudor, in Inghilterra si assistette ad un rafforzamento della monarchia assoluta, anche se si trattava di un assolutismo diverso da quello dell’Europa continentale. Esso era essenzialmente basato sulla collaborazione tra le principali forze della società inglese, cioè dai ceti medi cittadini, costituiti dalla borghesia mercantile, da artigiani appartenenti alle corporazioni, e dalla media nobiltà di campagna, gentry, costituita dagli squires, i cavalieri. Dietro a queste classi privilegiate, rimaneva abbastanza forte la yeomanry, costituita dagli yeoman, i contadini liberi proprietari del proprio podere. Quando riuscivano a raggiungere un redditto annuo di almeno 40 scellini, anche costoro potevano partecipare alle elezioni parlamentari. L’alleanza tra questi gruppi sociali e la monarchia portarono notevoli vantaggi ad entrambe le parti: la monarchia provvedeva alla difesa del paese contro la minaccia costituita dalla Spagna, assicurando in questo modo lo sviluppo economico e proseguendo nell’abbattimento della potenza dell’aristocrazia feudale e del clero, che soprattutto dopo la Riforma divennero dei semplici strumenti ausiliari dell’assolutismo regio. La collaborazione dei ceti più forti della società inglese, consentì ai Tudor di ridurre al minimo indispensabile l’apparato statale, conservando il sistema di autogoverno locale, che garantivano un’ottima amministrazione. L’Inghilterra non aveva un esercito permanente, poichè in caso di necessità, supplivano le milizie urbane ed i gentiluomini di città e della campagna, che arruolavano truppe tra i contadini liberi; l’apparato amministrativo e giudiziario era sostituito in buona parte dalle parrocchie, dalle amministrazioni comunali e dai gentiluomini che esercitavano di buon grado il ruolo di giudici di pace, dal quale traevano autorità e prestigio sociale. Questo ristretto apparato statale costava poco e consentiva di limitare la pressione fiscale: sotto la regina Elisabetta I, le entrate fiscali non superavano le 400.000 sterline, che per la maggior parte provenivano dalle terre della Corona. Grazie a queste particolari condizioni, l’economia si sviluppò rapidamente e con la ricchezza, venne a crearsi da parte degli strati sociali una maggiore consapevolezza politica, favorita da tale sviluppo. I mercanti urbani e i gentiluomini di campagna, che si andavano progressivamente trasformando da feudatari in proprietari imprenditori, partecipando attivamente al commercio dei prodotti agricoli, divennero in breve tempo le forze che garantivano la potenza dello Stato. Nello stesso tempo diminuì il potere dell’aristocrazia feudale, ormai confinata nelle zone meno evolute del Paese, e della monarchia, non più indispensabile a proteggere l’Inghilterra dall’anarchia feudale. In queste condizioni, si profilava una rottura dell’equilibrio sul quale si era retta la dinastia dei Tudor, rottura che avvenne in seguito sotto i successori di Elisabetta I. Prima della sua morte, la regina nominò suo successore al trono il figlio di Maria Stuarda, Giacomo VI re di Scozia, che assunse il nuovo nome di Giacomo I d'Inghilterra ; sotto il suo regno vennero unite le tre corone di Inghilterra, Scozia e Irlanda. Egli era un convinto assertore del diritto dei sovrani a governare per grazia di Dio, quindi senza tener conto della volontà dei sudditi. Questa sua pretesa, venne appoggiata solo dalla vecchia nobiltà feudale. Per portare a termine questa sua politica, al re occorrevano forze militari e molto denaro che egli non possedeva, e che neppure poteva pretendere dal popolo senza il consenso del Parlamento. Su questo punto scoppiò un conflitto fra il re e l’assemblea parlamentare. Non si trattava infatti solo di una mera questione di denaro, ma quale politica si doveva poi perseguire con i fondi concessi. La politica di Giacomo I era vista con ostilità perchè ritenuta contraria agli indirizzi invalsi nella tradizione e sopprattutto agli interessi stessi della nazione. Fin dal momento della sua incoronazione, il re aveva mostrato un atteggiamento più amichevole nei confronti della Spagna, con la quale stipulò nel 1604 un accordo di pace; l’ambasciatore spagnolo divenne uno dei suoi più fidati consiglieri. Tutto questo era però contrario agli interessi della borghesia mercantile inglese, che non rinunciò mai, con il commercio e in più occasioni con la pirateria, allo sfruttamento del ricco impero coloniale spagnolo. Ma la conseguenza più grave della politica estera di Giacomo I, fu che vennero abbandonati al loro destino i più fedeli alleati dell’Inghilterra: gli Olandesi e il principe del Palatinato , Federico. Quest’ultimo, lasciato senza aiuti, dovette soccombere agli Asburgo durante la prima fase della Guerra dei Trent’anni, con il risultato di consentire agli asbugici di estendere la loro potenza sulla Germania. Nelle questioni religiose, Giacomo I tentò un riavvicinamento ai Cattolici, ma ponendo loro delle condizioni inaccettabili, alle quali fece seguito un inasprimento delle persecuzioni anticattoliche, alle quali seguirono gli attentati da parte dei cattolici. Il più celebre avvenne nel 1605 e fu la cosidetta Congiura delle polveri, nel corso della quale, un gruppo di congiurati mise 36 barili pieni di polvere da sparo sotto la Camera dei Lords con l’intenzione di farla saltare, ma per loro sfortuna gli attentatori vennero scoperti e condannati alla pena di morte; tra di essi figurava il padre provinciale dei Gesuiti d’Inghilterra, Henry Garnet. A questo fallito attentato fecero seguito delle leggi che non solo privavano i cattolici dei diritti civili, ma anche di esercitare determinate professioni come medico e avvocato, e perfino di amministrare i beni dei figli minorenni. La conseguenza princiale della congiura delle polveri, fu che i cattolici vennero considerati per secoli, dalla maggioranza della popolazione inglese, come nemici dello Stato e della nazione. Ben più grave fu, visto anche il rapporto quantitativo, lo scontro che oppose Giacomo I ai Protestanti. La Chiesa Anglicana era ormai divenuta uno strumento del potere assoluto e ciò provocò in Inghilterra una sempre maggiore diffusione della congregazione religiosa dei Puritani, che rivendicavano l’indipendenza della Chiesa dal potere monarchico. Anche con essi, Giacomo I cercò un accordo agli inizi del proprio regno, ma senza successo, anche in questo caso a causa delle inaccettabili condizioni imposte alla controparte. A questo rifiuto fecero seguito le persecuzioni contro la minoranza puritana. Già nel 1604, il re fece espellere dalla Chiesa Anglicana circa 300 pastori che rifiutavano di obbedire alla sua volontà. Fu così che le divergenze religiose, assunsero progressivamente una valenza politica a causa dell’intromissione diretta del re, nelle questioni della Chiesa. Il malcontento del popolo inglese era constatabile dall’atteggiamento tenuto dal Parlamento nei confronti di Giacomo I, che più volte lo convocò per ottenere finanziamenti. Al rifiuto del re di sottoporre al giudizio dell’ assemblea parlamentare la propria linea politica, faceva seguito la concessione minima dei fondi richiesti. Egli cercò allora di procurarsi il denaro con prestiti forzosi, con la vendita di pascoli e boschi di proprietà della Corona, senza tuttavia riuscire a far fronte alle spese dello Stato. A questa politica finanziaria dissennata, fece seguito una grave decadenza delle forze statali: la flotta, orgoglio della nazione, venne trascurata a tal punto, che i pirati barbareschi giunsero fino alle coste inglesi, mentre gli Spagnoli poterono impunemente confiscare le navi reali con la scusa che trasportavano aiuti per gli Olandesi. L’irritazione per questi fatti incresciosi, portò ad un aumento del malcontento già presente da tempo nel Paese contro il re Stuart, che veniva indicato come la causa di tutti i mali dell’Inghilterra. Vennero quindi a crearsi tutti i presupposti di una grave rottura fra la nazione e la monarchia, evitata momentaneamente per la morte, nel 1625, di Giacomo I.
Durante il XVI secolo sotto la dinastia dei Tudor, in Inghilterra si assistette ad un rafforzamento della monarchia assoluta, anche se si trattava di un assolutismo diverso da quello dell’Europa continentale. Esso era essenzialmente basato sulla collaborazione tra le principali forze della società inglese, cioè dai ceti medi cittadini, costituiti dalla borghesia mercantile, da artigiani appartenenti alle corporazioni, e dalla media nobiltà di campagna, gentry, costituita dagli squires, i cavalieri. Dietro a queste classi privilegiate, rimaneva abbastanza forte la yeomanry, costituita dagli yeoman, i contadini liberi proprietari del proprio podere. Quando riuscivano a raggiungere un redditto annuo di almeno 40 scellini, anche costoro potevano partecipare alle elezioni parlamentari. L’alleanza tra questi gruppi sociali e la monarchia portarono notevoli vantaggi ad entrambe le parti: la monarchia provvedeva alla difesa del paese contro la minaccia costituita dalla Spagna, assicurando in questo modo lo sviluppo economico e proseguendo nell’abbattimento della potenza dell’aristocrazia feudale e del clero, che soprattutto dopo la Riforma divennero dei semplici strumenti ausiliari dell’assolutismo regio. La collaborazione dei ceti più forti della società inglese, consentì ai Tudor di ridurre al minimo indispensabile l’apparato statale, conservando il sistema di autogoverno locale, che garantivano un’ottima amministrazione. L’Inghilterra non aveva un esercito permanente, poichè in caso di necessità, supplivano le milizie urbane ed i gentiluomini di città e della campagna, che arruolavano truppe tra i contadini liberi; l’apparato amministrativo e giudiziario era sostituito in buona parte dalle parrocchie, dalle amministrazioni comunali e dai gentiluomini che esercitavano di buon grado il ruolo di giudici di pace, dal quale traevano autorità e prestigio sociale. Questo ristretto apparato statale costava poco e consentiva di limitare la pressione fiscale: sotto la regina Elisabetta I, le entrate fiscali non superavano le 400.000 sterline, che per la maggior parte provenivano dalle terre della Corona. Grazie a queste particolari condizioni, l’economia si sviluppò rapidamente e con la ricchezza, venne a crearsi da parte degli strati sociali una maggiore consapevolezza politica, favorita da tale sviluppo. I mercanti urbani e i gentiluomini di campagna, che si andavano progressivamente trasformando da feudatari in proprietari imprenditori, partecipando attivamente al commercio dei prodotti agricoli, divennero in breve tempo le forze che garantivano la potenza dello Stato. Nello stesso tempo diminuì il potere dell’aristocrazia feudale, ormai confinata nelle zone meno evolute del Paese, e della monarchia, non più indispensabile a proteggere l’Inghilterra dall’anarchia feudale. In queste condizioni, si profilava una rottura dell’equilibrio sul quale si era retta la dinastia dei Tudor, rottura che avvenne in seguito sotto i successori di Elisabetta I. Prima della sua morte, la regina nominò suo successore al trono il figlio di Maria Stuarda, Giacomo VI re di Scozia, che assunse il nuovo nome di Giacomo I d'Inghilterra ; sotto il suo regno vennero unite le tre corone di Inghilterra, Scozia e Irlanda. Egli era un convinto assertore del diritto dei sovrani a governare per grazia di Dio, quindi senza tener conto della volontà dei sudditi. Questa sua pretesa, venne appoggiata solo dalla vecchia nobiltà feudale. Per portare a termine questa sua politica, al re occorrevano forze militari e molto denaro che egli non possedeva, e che neppure poteva pretendere dal popolo senza il consenso del Parlamento. Su questo punto scoppiò un conflitto fra il re e l’assemblea parlamentare. Non si trattava infatti solo di una mera questione di denaro, ma quale politica si doveva poi perseguire con i fondi concessi. La politica di Giacomo I era vista con ostilità perchè ritenuta contraria agli indirizzi invalsi nella tradizione e sopprattutto agli interessi stessi della nazione. Fin dal momento della sua incoronazione, il re aveva mostrato un atteggiamento più amichevole nei confronti della Spagna, con la quale stipulò nel 1604 un accordo di pace; l’ambasciatore spagnolo divenne uno dei suoi più fidati consiglieri. Tutto questo era però contrario agli interessi della borghesia mercantile inglese, che non rinunciò mai, con il commercio e in più occasioni con la pirateria, allo sfruttamento del ricco impero coloniale spagnolo. Ma la conseguenza più grave della politica estera di Giacomo I, fu che vennero abbandonati al loro destino i più fedeli alleati dell’Inghilterra: gli Olandesi e il principe del Palatinato , Federico. Quest’ultimo, lasciato senza aiuti, dovette soccombere agli Asburgo durante la prima fase della Guerra dei Trent’anni, con il risultato di consentire agli asbugici di estendere la loro potenza sulla Germania. Nelle questioni religiose, Giacomo I tentò un riavvicinamento ai Cattolici, ma ponendo loro delle condizioni inaccettabili, alle quali fece seguito un inasprimento delle persecuzioni anticattoliche, alle quali seguirono gli attentati da parte dei cattolici. Il più celebre avvenne nel 1605 e fu la cosidetta Congiura delle polveri, nel corso della quale, un gruppo di congiurati mise 36 barili pieni di polvere da sparo sotto la Camera dei Lords con l’intenzione di farla saltare, ma per loro sfortuna gli attentatori vennero scoperti e condannati alla pena di morte; tra di essi figurava il padre provinciale dei Gesuiti d’Inghilterra, Henry Garnet. A questo fallito attentato fecero seguito delle leggi che non solo privavano i cattolici dei diritti civili, ma anche di esercitare determinate professioni come medico e avvocato, e perfino di amministrare i beni dei figli minorenni. La conseguenza princiale della congiura delle polveri, fu che i cattolici vennero considerati per secoli, dalla maggioranza della popolazione inglese, come nemici dello Stato e della nazione. Ben più grave fu, visto anche il rapporto quantitativo, lo scontro che oppose Giacomo I ai Protestanti. La Chiesa Anglicana era ormai divenuta uno strumento del potere assoluto e ciò provocò in Inghilterra una sempre maggiore diffusione della congregazione religiosa dei Puritani, che rivendicavano l’indipendenza della Chiesa dal potere monarchico. Anche con essi, Giacomo I cercò un accordo agli inizi del proprio regno, ma senza successo, anche in questo caso a causa delle inaccettabili condizioni imposte alla controparte. A questo rifiuto fecero seguito le persecuzioni contro la minoranza puritana. Già nel 1604, il re fece espellere dalla Chiesa Anglicana circa 300 pastori che rifiutavano di obbedire alla sua volontà. Fu così che le divergenze religiose, assunsero progressivamente una valenza politica a causa dell’intromissione diretta del re, nelle questioni della Chiesa. Il malcontento del popolo inglese era constatabile dall’atteggiamento tenuto dal Parlamento nei confronti di Giacomo I, che più volte lo convocò per ottenere finanziamenti. Al rifiuto del re di sottoporre al giudizio dell’ assemblea parlamentare la propria linea politica, faceva seguito la concessione minima dei fondi richiesti. Egli cercò allora di procurarsi il denaro con prestiti forzosi, con la vendita di pascoli e boschi di proprietà della Corona, senza tuttavia riuscire a far fronte alle spese dello Stato. A questa politica finanziaria dissennata, fece seguito una grave decadenza delle forze statali: la flotta, orgoglio della nazione, venne trascurata a tal punto, che i pirati barbareschi giunsero fino alle coste inglesi, mentre gli Spagnoli poterono impunemente confiscare le navi reali con la scusa che trasportavano aiuti per gli Olandesi. L’irritazione per questi fatti incresciosi, portò ad un aumento del malcontento già presente da tempo nel Paese contro il re Stuart, che veniva indicato come la causa di tutti i mali dell’Inghilterra. Vennero quindi a crearsi tutti i presupposti di una grave rottura fra la nazione e la monarchia, evitata momentaneamente per la morte, nel 1625, di Giacomo I.
Sam- Età : 36
Località : Gangi
Indirizzo di studi : Storia
Campo di ricerca : Età contemporanea
Data d'iscrizione : 24.09.08
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