MENU’ DEL FORUM
Ultimi argomenti attivi
STORIA DI PALERMO (parte 2)
Pagina 1 di 1
STORIA DI PALERMO (parte 2)
Ricostruzione Grafica - La cinta muraria di Palermo (XVI sec)
Le forti tensioni belliche in atto tra l’Europa cristiana, guidata dall’Impero di Carlo V, e l’Impero Ottomano, comportarono il costituirsi in Sicilia, tra i primi anni del ‘500 e l’inizio del ‘700, di un apparato difensivo di eccezionale consistenza .L’antico circuito murario medievale – che la diffusione dell’artiglieria come strumento bellico aveva reso del tutto inadeguato – fu rinforzato da possenti bastioni e circondato da ampi fossati. Lungo tutto il tracciato delle mura, furono aperte nuove e sontuose porte di città. Il vicerè Don Ferrante Gonzaga, ribadendo quanto disposto dal vicerè Pignatelli, suo predecessore, incaricò l’ingegnere Antonio Ferramolino di consolidare la cortina muraria della città, potenziando le esistenti opere di difesa con un muro a scarpa, provvisto di cordolo semicircolare all’altezza del muro d’affaccio, iniziando successivamente la costruzione dei baluardi nella piazza del Castello a mare e nella cinta, la cui ultimazione avverrà alla fine del secolo.
La realizzazione della cinta muraria bastionata cinquecentesca fu dunque un’operazione di vastissime proporzioni e dall’altissimo costo, che comportò anche la coercitiva collaborazione di buona parte della popolazione cittadina.
La costituzione delle mura cinquecentesche donò (e, in una certa misura, ribadì) la forma caratteristica della città di Palermo, la morfologia urbana quadrangolare che caratterizzerà per secoli la città. Ancora oggi, nonostante gran parte del sistema murario sia stato da tempo smantellato, la città storica di Palermo mantiene la fisionomia datale dalle gigantesche opere di fortificazione volute dal vicerè Gonzaga e dai suoi successori. Sovrapponendo la cinta muraria disegnata dal Giorgi ad una recente rappresentazione foto-cartografica del centro storico della città, è facile notare che la forma del perimetro murario permane nei viali che circondano l’impianto urbanistico storico (la Via Lincoln, il Corso Tüköry, la Via Re Ruggero, il Corso Albero Amedeo, la Via Volturno e la Via Cavour, impiantate – tra ‘700 e ‘800 o nell’aria ricavata dalle demolizioni delle mura o nei relativi fossati, appositamente colmati).
La rottura dello spazio urbano circoscritto, voluta tra il XVIII e il XIX secolo, seppur segnando, con lo smantellamento di uno dei principali parametri della forma urbana, la fine di un’epoca urbanistica, non ha compromesso (e ciò è ben testimoniabile attraverso le attuali fonti cartografiche) le specificità fisionomiche della città storica di Palermo. Il circuito murario ha, inoltre, fortemente condizionato la conformazione delle aree abitate extramoenia che prenderanno forma, nei secoli successivi, sia lungo alcune delle vie che si dipartivano dalle varie porte di città sia a ridosso delle mura stesse.
Dei dodici bastioni della cinta muraria cinquecentesca, oggi ne sopravvivono (del tutto o in parte) soltanto cinque: quello di S. Giacomo o del Papireto o di Porta di Guccia, concesso nel 1800 al marchese Cuccia, che vi edificò la propria casa ed un giardino pensile (sul Corso Alberto Amedeo); quello di S. Pietro o del Palazzo Reale, ancora in ottimo stato di conservazione, sul quale si trova il giardino annesso al Palazzo dei Normanni; quello di S. Vito o Gonzaga, ceduto, nel 1782 dal Senato palermitano alle monache del vicino monastero di S. Vito “per farne loggia di loro diporto, con flore e verzieri in mezzo” e parzialmente demolito nel 1903 per la risistemazione della vicina Piazza G. Verdi; quello dello Spasimo, sul quale insiste parte del complesso religioso dei padri Olivetani, trasferiti nel convento di S. Spirito nel 1575 (il complesso religioso dello Spasimo, mai completato proprio perché investito dal progetto di fortificazione dell’area, fu utilizzato, nei secoli successivi, come teatro, magazzino e nosocomio; è oggi destinato dal Comune a scuola di musica e a Centro Culturale); quello di Vega, parzialmente demolito nel 1783 per migliorare la viabilità della strada Colonna e ampliare la passeggiata della Marina, oggi annesso alla struttura ricettiva “Jolly Hotel” (Blandi, 1998). Della cortina muraria cinquecentesca permangono alcuni tratti: presso la Via Mura di S. Vito e la Via Mura di Porta Carini, lungo il Corso Alberto Amedeo e le Vie Mura di Porta S. Agata, Mura di Montalto e Mura della Pace (alle spalle di Via Lincoln); Lungo il Foro Italico, da piazza S. Spirito alla Porta dei Greci. Non molte porte di città appartenenti all’originaria cortina muraria si sono salvate dal piccone demolitore: la Porta Nuova, la Porta Felice, la Porta dei Greci, la Porta S. Agata e la Porta Mazara. La Porta Carini e la Porta di Vicari o di S. Antonino permangono nel loro rifacimento settecentesco. Permane, infine, la Porta Reale o Carolina, realizzata tra il 1776 e il 1885 a seguito dell’impianto dell’attiguo parco cittadino di Villa Giulia. (Da "Momenti di Performative mapping a Palermo" tesi di Laurea di A.Occhipnti)
Il palazzo della Zisa (dall’arabo al-ʿAzīza, ovvero "la splendida") sorgeva fuori le mura della città di Palermo, all’interno del parco reale normanno, il Genoardo (dall’arabo Jannat al-arḍ ovvero "giardino o paradiso della terra"), che si estendeva con splendidi padiglioni, rigogliosi giardini e bacini d’acqua da Altofonte fino alle mura del palazzo reale. L'etimologia della Zisa ci viene spiegata dal grande Michele Amari che, nella sua Storia dei musulmani di Sicilia così scriveva:« Guglielmo ... rivaleggiando col padre ... si mosse a fabbricare tal palagio che fosse più splendido e sontuoso di que' lasciatigli da Ruggiero. Il nuovo edifizio fu murato in brevissimo tempo con grande spesa e postogli il nome di al-ʿAzîz, che in bocche italiane diventò «la Zisa» e così diciamo fin oggi»
Le prime notizie indicanti il 1165 come data d’inizio della costruzione della Zisa, sotto il regno di Guglielmo I (detto "Il Malo"), ci sono state tramandate da Ugo Falcando nel Liber de Regno Siciliae. Sappiamo da questa fonte che nel 1166, anno della morte di Guglielmo I, la maggior parte del palazzo era stata costruita “mira celeritate, non sine magnis sumptibus” (lett. "con straordinaria velocità, non senza ingenti spese) e che l’opera fu portata a termine dal suo successore Guglielmo II (detto "Il Buono")(1172-1184), subito dopo la sua maggiore età.
L’appellativo Mustaʿizz è riferito, secondo Michele Amari, a Guglielmo II anche in un’iscrizione in caratteri naskhī nell’intradosso dell’arcata d’accesso alla Sala della Fontana.
Un’altra iscrizione, invece, ben più famosa – in caratteri cufici – è a tutt’oggi conservata nel muretto d’attico del palazzo, tagliata ad intervalli regolari nel tardo medioevo, quando la struttura fu trasformata in fortezza. Alla luce di queste fonti, la maggior parte degli studiosi sono concordi nel fissare al 1175 la data di completamento dei lavori del solarium reale.
Nel palazzo della Zisa, sulla volta dell'arco d'ingresso alla Sala della Fontana, (che rappresenta "l'iwan", ossia l'ambiente di rappresentanza arabo) c'è un affresco, che raffigura una serie di figure mitologiche (al centro Giove e intorno Nettuno con il suo tridente, Plutone, Giunone, Mercurio, Vulcano, Venere, Marte....) che la credenza popolare definisce: "i diavulicchi" ed ai quali è legata una leggenda; questa racconta che nel palazzo della Zisa sia nascosto un grandissimo tesoro in monete d'oro, custodito da alcuni diavoli, che impediscono di venirne in possesso.
Sempre la leggenda, recita che: chi va a guardarli il 25 marzo, giorno dell'Annunziata, e li fissa a lungo, vede che questi diavoli muovono la coda, storcono la bocca ed addirittura, nessuno è capace di contare il loro esatto numero, inoltre, il giorno in cui si troverà il sistema per scoprire il tesoro nascosto, terminerà la povertà a Palermo.
Questa leggenda ha generato un modo di dire popolare: "E chi su, li diavoli di la Zisa?" (E che sono, i diavoli del palazzo della Zisa?), termine adottato a Palermo quando non tornano i conti...
Quadro storico
Dopo la morte di Corrado, la sconfitta di Manfredi a Benevento il 26 febbraio 1266 e la decapitazione di Corradino a Napoli 29 ottobre 1268, il Regno di Sicilia era stato definitivamente assoggettato a Carlo I d'Angiò. Il Papa Clemente IV, che già aveva incoronato Re di Sicilia Carlo nel 1263, sperava così di poter imprimere ulteriormente la propria influenza sul Regno dell'Italia meridionale, senza subire gli odiati veti che furono imposti dagli svevi. Tuttavia il Papa si renderà conto molto presto che in realtà gli angioini non manterranno le promesse e perseguiranno una politica espansionistica. Conquistato il Meridione d'Italia, Carlo pensava già a Costantinopoli.
In Sicilia la situazione era particolarmente critica per una riduzione generalizzata delle libertà baronali ed una opprimente politica fiscale. L'isola, infatti, che fu sempre una fedele roccaforte sveva e resistette per alcuni anni dopo il tentativo di Corradino, ora era il bersaglio della rappresaglia angioina. Gli Angiò peraltro si mostrarono insensibili a qualunque richiesta di ammorbidimento ed applicarono un esoso fiscalismo praticando usurpazioni, soprusi e violenze. Dante Alighieri (che aveva 17 anni nel 1282) nel VIII canto del Paradiso, indica come Mala Segnoria il regno angioino in Sicilia. I nobili siciliani e soprattutto il diplomatico Giovanni da Procida riponevano le proprie speranze per una soluzione della situazione siciliana su Michele VIII Palaeologo, imperatore bizantino in contrasto con Carlo I d'Angiò, su Papa Niccolò III, che si era dimostrato sensibile e sul Re Pietro III d'Aragona. Il re d'Aragona era favorito in quanto la propria consorte Costanza era figlia di Manfredi ed unica discendente della dinastia sveva di cui la popolazione siciliana manteneva ancora il ricordo dello splendore raggiunto con il nonno, l'imperatore Federico II, tuttavia egli era impegnato dalla riconquista della parte della penisola iberica in mano ai mori. A fine 1280 accaddero due eventi storici importanti: morì Papa Niccolò mentre l'imperatore Michele era duramente impegnato da una coalizione dove vi erano fra gli altri gli Angiò e Venezia. I baroni siciliani iniziarono a organizzare una sollevazione popolare anche per dare un segno tangibile della loro forza e convincere Pietro, l'unico interlocutore rimasto a poter accorrere in aiuto dei siciliani. In questo contesto avveniva l'elezione di Papa Martino IV il 22 febbraio 1281 su cui in Sicilia si riponevano le ultime speranze. Invece il Papa, che era francese ed era stato eletto proprio grazie al sostegno degli Angiò a cui era particolarmente legato, si mostrò subito insensibile ai siciliani.
Le pressioni internazionali in realtà, celate o meno, erano molteplici data la instabile situazione politica europea di fine XIII secolo, la forte opposizione nei confronti dell'ingerenza papale e l'inarrestabile ascesa degli angioini, vassalli del pontefice,i quali ne erano al servizio assoluto.
Carlo I d'Angiò era sostenuto oltre che dal Papa Martino IV, da Filippo III di Francia e dai guelfi fiorentini. Pietro d'Aragona, che rappresentava la possibilità di frenare l'espansione angioina invece aveva i favori oltre che di Michele VIII Palaeologo, di Rodolfo d'Asburgo, di Edoardo I d'Inghilterra, della fazione ghibellina genovese, del Conte Guido da Montefeltro, di Pietro I di Castiglia, della nobiltà locale e catalana e tiepidamente delle Repubbliche marinare di Venezia e di Pisa.
La rivolta del lunedì di Pasqua
Tutto ebbe inizio all'ora del vespro del 31 marzo 1282, lunedì dopo la Pasqua, sul sagrato della Chiesa dello Spirito Santo, a Palermo. A generare l'episodio fu - secondo la ricostruzione storica - la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa ad una giovane donna accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire; a difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al soldato francese e lo uccise. Tale gesto fu appunto la scintilla che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì i palermitani - al grido di "Mora, mora!" - si abbandonarono ad una vera e propria "caccia ai francesi" che dilagò in breve tempo in tutta l'isola, trasformandosi in una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro vi riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate lungo la costa.
Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso ad uno shibboleth (cfr. Giudici 12,5-6), mostrando loro dei ceci e chiedendo di pronunziarne il nome; appena i francesi dicevano "siseró", anziché "ciciru", venivano uccisi.
Detta poi anche Chiesa di Santo Spirito del Vespro, annessa al monastero cistercense, fondato il 23 giugno 1172 per volere dell’arcivescovo di Palermo Gualtiero Offamilio e affidato a monaci cistercensi provenienti da Sambucina di Calabria sotto il regno di Guglielmo II che lo arricchì con donazioni assieme alla madre Margherita. Il 9 dicembre 1178 re Ruggero II, che aveva avuto come tutore Offamilio, lo dotò per riconoscenza di numerose terre, tanto che alcuni autori riferiscono a tale data la fondazione dell’abbazia. L’iscrizione nel presbiterio attesta che fu consacrata nel 1179. Nel 1232 il Capitolo Generale decise di considerare casa madre dell’Ordine Casamari. Divenuta Commenda e diminuiti i frati nel 1516 fu affidata da Leone X all’ospedale di Palermo, che poi la cedette agli Agostiniani, nel 1573 agli Olivetani di Santa Maria dello Spasimo. Il celebre e rivoluzionario viceré Domenico Caracciolo fece demolire nel 1782 il monastero, per costruire al suo posto il cimitero, chiamato “di sant’Orsola” dal nome dei frati che l’avevano occupato fino ad allora.
L’impianto architettonico originario della chiesa, contaminazione armoniosa tra elementi arabo-normanni e gotici, sopravvisse, anche se la facciata fu perduta e subito ricostruita. L’architetto G. Patricolo nel 1882 in occasione del sesto centenario del Vespro adottò un drastico restauro, nel proposito di ripristinare il presunto impianto abbaziale originario. distruggendo le fabbriche adiacenti, ogni traccia del convento e del cimitero settecentesco, le alterazioni barocche, gli archi centrici, le varie cappelle e le decorazioni pittoriche e a stucco. La chiesa è a tre navate, di sette campate, quattro con pilastri semicircolari, tre con pilastri quadrati (Santuario e presbiterio), e abside semicircolare affiancata da due cappelle nel presbiterio. La copertura è a capriate lignee nella navata centrale e presbiterio, a crociere lisce nelle navate piccole. Motivi policromi sono di influsso arabo con pietra lavica e tufo giallo. L’esterno, ora privo di facciata, è ornato di tarsie di lava. All’interno custodisce una pregevole Croce dipinta dl ‘400.
“Lo schema planimetrico è quello tipico dell’età normanna con ampio santuario triabsidato sopraelevato sulle tre navate”. La tradizione costruttiva arabo-normanna è ripresa sia a livello planimetrico con la fusione dello schema basilicale delle navate e quello centrale del presbiterio, sia a livello decorativo (Giuseppe Bellafiore).
A Palermo Ruggero attrasse intorno a sé i migliori uomini di ogni etnia, come il famoso geografo arabo al-Idrisi (Idrīsī o Edrisi), lo storico Nilus Doxopatrius e altri eruditi. Il Re mantenne nel regno una completa tolleranza per tutti i credi, razze e lingue. Egli fu servito da uomini di ogni nazionalità come l'anglonormanno Thomas Brun nella Curia, il rinnegato musulmano Christodoulos nella flotta e il bizantino Giorgio di Antiochia, che nel 1132 fu fatto "amiratus amiratorum" (in effetti comandante in capo).
Conte di Sicilia (1101-1130), duca di Puglia e di Calabria (1127-1130), primo re di Sicilia (1130-1154), figlio di Ruggero I d'Altavilla e di Adelaide di Monferrato.
Dapprima sotto la reggenza materna (fino al 1113), avviò poi un'energica politica di consolidamento della contea di Sicilia e, alla morte senza eredi del cugino Guglielmo duca di Puglia (1127), diede inizio ad una campagna di espansione nel Mezzogiorno, col disegno di unificare tutti i domini normanni d'Italia.
Riconosciuto duca di Puglia dal papa Onorio II (Benevento, 1128) il principe normanno assumeva così la veste di signore di tutta l'Italia meridionale, anche se non tutta ancora conquistata.
Tra il 1128 e il 1129, riuscì ad affermare il suo potere su Napoli, su Bari, su Capua e su molte altre località, continuando l'opera di unificazione. Alla morte di Onorio II (1130), ebbe il titolo di re di Sicilia e degli Stati principeschi di Puglia, Calabria e Capua, e fu incoronato a Palermo, il 25 dicembre 1130.
Ruggero II fece del regno di Sicilia uno degli Stati d'Europa più potenti e meglio ordinati (base legislativa, le Assise del Regno di Sicilia, date ad Ariano nel 1140). Molto tollerante per quanto riguardava le profonde differenze etniche e religiose esistenti tra i suoi sudditi, incoraggiò le attività artistiche e culturali.
Ruggero rese la Sicilia la potenza dominante del Mediterraneo. Grazie ad una potente flotta, costituita sotto diversi ammiragli, effettuò una serie di conquiste sulla costa africana (1135 - 1153), che andavano da Tripoli a Capo Bon.
In Sicilia si ebbe il primo Parlamento, nel 1129, con Ruggero II. L'Inghilterra lo ebbe solo nel 1264. Si ebbe il primo Stato "burocratico", vale a dire basato su funzionari e non su una organizzazione feudale (vassalli, valvassori e valvassini). Si ebbe il primo stato "laico", indipendente dalla chiesa di Roma e soprattutto si continuò, come nel periodo arabo, ad applicare uno spirito di tolleranza religiosa e civile che nel resto d'Europa sarà riconosciuta solo nel 1598 (cioè ben quattro secoli dopo) con l'editto di Nantes di Enrico IV di Francia.
Il Re morì a Palermo il 26 febbraio 1154, e suo successore fu il quarto dei suoi figli, Guglielmo. La tomba di Ruggero II nella cattedrale di Palermo
Costanza d'Altavilla, conosciuta anche come Costanza di Sicilia (2 novembre 1154 – Palermo, 27 novembre 1198), era figlia di Ruggero II. Regina di Sicilia e Imperatrice (come moglie di Enrico VI di Svevia) fu madre di Federico II di Svevia.
Costanza di Sicilia fu figlia postuma di Ruggero II re di Sicilia e della sua terza moglie Beatrice di Rethel. Inizialmente Costanza aveva manifestato interesse per la vita in convento, ma successivamente, grazie all'interessamento di Guglielmo II di Sicilia (Guglielmo il Buono), ella sposò a Milano il 27 gennaio 1186 Enrico VI di Svevia figlio dell'imperatore Federico il Barbarossa. La dote della sposa ammontava a 14 tonnellate d'oro. Enrico (1165) era di circa undici anni più giovane di Costanza. Con l'unione gli intenti dei principali fautori erano chiari: Guglielmo aveva l'interesse a mantenere salda la dinastia, oramai in declino, rafforzandola con l'ingresso degli Svevi, allora in ascesa, mentre Federico il Barbarossa ambiva fortemente ad ampliare l'impero inglobando proprio l'Italia.
Federico VII Hohenstaufen di Svevia, o Federico I di Sicilia o Federico II del Sacro Romano Impero (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), fu re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d'Italia e re di Germania.Popolarmente conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia del mondo") o puer Apuliae ("fanciullo di Puglia), fu Sacro Romano Imperatore dal 1220 al 1250. Appartenente alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, fu inoltre re di Germania, re d'Italia, re di Borgogna, re di Gerusalemme e, col nome di Federico I, Re di Sicilia dal 1198 al 1250.Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male.Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione tecnologicae culturale, volte ad unificare le terre ed i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso apprezzabile letterato, fu convinto protettore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.
Federico II di Svevia(Iesi, Ancona 1194 - Castel Fiorentino presso San Severo, Foggia 1250), imperatore del Sacro romano impero (1215-1250) e, con il nome di Federico I, re di Sicilia (1198-1212). Figlio dell'imperatore Enrico VI e nipote dell'imperatore Federico I, della famiglia di Hohenstaufen, fu proclamato re di Sicilia (1196) sotto la reggenza della madre, Costanza d'Altavilla. Morta la madre Federico, che aveva solo quattro anni, venne posto sotto la tutela di papa Innocenzo III, il nuovo reggente di Sicilia. Quando i principi tedeschi deposero l'imperatore Ottone IV (1211) e proclamarono come suo successore Federico, scoppiò una contesa: Ottone era riluttante a lasciare il trono imperiale, ma Federico beneficiava dell'appoggio del papato, al quale aveva promesso molti privilegi, e del sostegno della Francia. La disputa si risolse a favore di Federico che venne incoronato re di Germania a Aix-la-Chapelle (ora Aachen) nel 1215 e imperatore del Sacro romano impero a Roma nel 1220.
In occasione della sua incoronazione, si impegnò con la Chiesa per condurre una crociata contro gli infedeli, anche se poco dopo rimandò la partenza, impegnato a combattere l'anarchia feudale in Sicilia e l'autonomia dei Comuni lombardi. Questi infatti nel 1226 ricostituirono la Lega lombarda, originariamente formata contro il nonno di Federico, l'imperatore Federico I; l'anno seguente il sovrano annullò la pace di Costanza e mise al bando i Comuni lombardi. Minacciato varie volte di scomunica se non avesse rispettato la parola data al momento dell'incoronazione, Federico nel 1228 guidò la quinta crociata in Terra Santa dove, tramite un accordo con il sultano d'Egitto, ottenne Gerusalemme e concluse una tregua di dieci anni. Sposatosi con Iolanda di Brienne, figlia del re di Gerusalemme, e poco dopo rimasto vedovo, ottenne il titolo di re di Gerusalemme e fu incoronato nella stessa città nel 1229.
Ritornato in Europa, fu impegnato su due fronti: in Germania, i principi guidati dal figlio, Enrico VII (re di Germania dal 1228), si sollevarono contro l'imperatore, che riuscì a ristabilire la pace solo nel 1235, con la grande tregua di Magonza; in Italia i comuni lombardi di parte guelfa si erano alleati con il pontefice. Nel 1237, con la battaglia di Cortenuova, Federico ottenne una vittoria decisiva sulla Lega Lombarda; ma la disputa con il papato durò ancora a lungo, tanto che l'imperatore fu scomunicato altre due volte, la prima nel 1239 da papa Gregorio IX e la seconda nel 1245 da papa Innocenzo IV. Nel 1231, in Sicilia, promulgò un nuovo codice di leggi conosciuto come le Costituzioni melfitane, considerato la migliore legislazione di un sovrano occidentale dai tempi di Carlo Magno. La sua corte siciliana fu un importante centro culturale, dove confluirono le tradizioni latine, greche e arabe, dove musulmani ed ebrei vennero trattati con la massima tolleranza, e che lo stesso Dante definì culla della poesia italiana. Lo stesso Federico, colto e studioso di filosofia e di scienza, partecipò a varie dispute intellettuali. Nel 1224, Federico fondò l'Università di Napoli. Alla sua morte il regno di Sicilia passò al figlio Corrado IV.
La prima lirica di arte volgare fu scritta in Sicilia alla corte di Federico II. Il re stesso, intellettuale e laico, era convinto della funzione di civiltà della cultura ed interessato alle arti ed alle scienze.
Egli seppe creare una corte di dotti di ogni parte del mondo, cosicché la sua reggia divenne uno dei crocevia della cultura italiana.
I poeti della scuola siciliana non furono tutti siciliani, ma usarono il dialetto siciliano depurandolo di quanto aveva di plebeo e di idiomatico ed arricchendolo con voci derivate dal provenzale, fino a farne una lingua letteraria degna della definizione di "illustre".
Si suole far iniziare la parabola della lirica siciliana con la traduzione, che è, in realtà, una ben più complessa rielaborazione, di una lirica del trovatore Folchetto di Marsiglia da parte di Jacopo da Lentini.
I siciliani, infatti, imitarono da vicino i modelli provenzali dai quali derivarono le caratteristiche formali e le tematiche.
Il tema delle rime è essenzialmente amoroso ed il poetare è soprattutto un raffinato esercizio letterario. I siciliani, tuttavia, introdussero novità metriche, come la canzone ed il sonetto.
I principali rappresentanti della scuola furono lo stesso Jacopo da Lentini, Pier della Vigna, Rinaldo d'Aquino, Giacomino Pugliese
Le forti tensioni belliche in atto tra l’Europa cristiana, guidata dall’Impero di Carlo V, e l’Impero Ottomano, comportarono il costituirsi in Sicilia, tra i primi anni del ‘500 e l’inizio del ‘700, di un apparato difensivo di eccezionale consistenza .L’antico circuito murario medievale – che la diffusione dell’artiglieria come strumento bellico aveva reso del tutto inadeguato – fu rinforzato da possenti bastioni e circondato da ampi fossati. Lungo tutto il tracciato delle mura, furono aperte nuove e sontuose porte di città. Il vicerè Don Ferrante Gonzaga, ribadendo quanto disposto dal vicerè Pignatelli, suo predecessore, incaricò l’ingegnere Antonio Ferramolino di consolidare la cortina muraria della città, potenziando le esistenti opere di difesa con un muro a scarpa, provvisto di cordolo semicircolare all’altezza del muro d’affaccio, iniziando successivamente la costruzione dei baluardi nella piazza del Castello a mare e nella cinta, la cui ultimazione avverrà alla fine del secolo.
La realizzazione della cinta muraria bastionata cinquecentesca fu dunque un’operazione di vastissime proporzioni e dall’altissimo costo, che comportò anche la coercitiva collaborazione di buona parte della popolazione cittadina.
La costituzione delle mura cinquecentesche donò (e, in una certa misura, ribadì) la forma caratteristica della città di Palermo, la morfologia urbana quadrangolare che caratterizzerà per secoli la città. Ancora oggi, nonostante gran parte del sistema murario sia stato da tempo smantellato, la città storica di Palermo mantiene la fisionomia datale dalle gigantesche opere di fortificazione volute dal vicerè Gonzaga e dai suoi successori. Sovrapponendo la cinta muraria disegnata dal Giorgi ad una recente rappresentazione foto-cartografica del centro storico della città, è facile notare che la forma del perimetro murario permane nei viali che circondano l’impianto urbanistico storico (la Via Lincoln, il Corso Tüköry, la Via Re Ruggero, il Corso Albero Amedeo, la Via Volturno e la Via Cavour, impiantate – tra ‘700 e ‘800 o nell’aria ricavata dalle demolizioni delle mura o nei relativi fossati, appositamente colmati).
La rottura dello spazio urbano circoscritto, voluta tra il XVIII e il XIX secolo, seppur segnando, con lo smantellamento di uno dei principali parametri della forma urbana, la fine di un’epoca urbanistica, non ha compromesso (e ciò è ben testimoniabile attraverso le attuali fonti cartografiche) le specificità fisionomiche della città storica di Palermo. Il circuito murario ha, inoltre, fortemente condizionato la conformazione delle aree abitate extramoenia che prenderanno forma, nei secoli successivi, sia lungo alcune delle vie che si dipartivano dalle varie porte di città sia a ridosso delle mura stesse.
Dei dodici bastioni della cinta muraria cinquecentesca, oggi ne sopravvivono (del tutto o in parte) soltanto cinque: quello di S. Giacomo o del Papireto o di Porta di Guccia, concesso nel 1800 al marchese Cuccia, che vi edificò la propria casa ed un giardino pensile (sul Corso Alberto Amedeo); quello di S. Pietro o del Palazzo Reale, ancora in ottimo stato di conservazione, sul quale si trova il giardino annesso al Palazzo dei Normanni; quello di S. Vito o Gonzaga, ceduto, nel 1782 dal Senato palermitano alle monache del vicino monastero di S. Vito “per farne loggia di loro diporto, con flore e verzieri in mezzo” e parzialmente demolito nel 1903 per la risistemazione della vicina Piazza G. Verdi; quello dello Spasimo, sul quale insiste parte del complesso religioso dei padri Olivetani, trasferiti nel convento di S. Spirito nel 1575 (il complesso religioso dello Spasimo, mai completato proprio perché investito dal progetto di fortificazione dell’area, fu utilizzato, nei secoli successivi, come teatro, magazzino e nosocomio; è oggi destinato dal Comune a scuola di musica e a Centro Culturale); quello di Vega, parzialmente demolito nel 1783 per migliorare la viabilità della strada Colonna e ampliare la passeggiata della Marina, oggi annesso alla struttura ricettiva “Jolly Hotel” (Blandi, 1998). Della cortina muraria cinquecentesca permangono alcuni tratti: presso la Via Mura di S. Vito e la Via Mura di Porta Carini, lungo il Corso Alberto Amedeo e le Vie Mura di Porta S. Agata, Mura di Montalto e Mura della Pace (alle spalle di Via Lincoln); Lungo il Foro Italico, da piazza S. Spirito alla Porta dei Greci. Non molte porte di città appartenenti all’originaria cortina muraria si sono salvate dal piccone demolitore: la Porta Nuova, la Porta Felice, la Porta dei Greci, la Porta S. Agata e la Porta Mazara. La Porta Carini e la Porta di Vicari o di S. Antonino permangono nel loro rifacimento settecentesco. Permane, infine, la Porta Reale o Carolina, realizzata tra il 1776 e il 1885 a seguito dell’impianto dell’attiguo parco cittadino di Villa Giulia. (Da "Momenti di Performative mapping a Palermo" tesi di Laurea di A.Occhipnti)
LA ZISA
Le prime notizie indicanti il 1165 come data d’inizio della costruzione della Zisa, sotto il regno di Guglielmo I (detto "Il Malo"), ci sono state tramandate da Ugo Falcando nel Liber de Regno Siciliae. Sappiamo da questa fonte che nel 1166, anno della morte di Guglielmo I, la maggior parte del palazzo era stata costruita “mira celeritate, non sine magnis sumptibus” (lett. "con straordinaria velocità, non senza ingenti spese) e che l’opera fu portata a termine dal suo successore Guglielmo II (detto "Il Buono")(1172-1184), subito dopo la sua maggiore età.
L’appellativo Mustaʿizz è riferito, secondo Michele Amari, a Guglielmo II anche in un’iscrizione in caratteri naskhī nell’intradosso dell’arcata d’accesso alla Sala della Fontana.
Un’altra iscrizione, invece, ben più famosa – in caratteri cufici – è a tutt’oggi conservata nel muretto d’attico del palazzo, tagliata ad intervalli regolari nel tardo medioevo, quando la struttura fu trasformata in fortezza. Alla luce di queste fonti, la maggior parte degli studiosi sono concordi nel fissare al 1175 la data di completamento dei lavori del solarium reale.
Nel palazzo della Zisa, sulla volta dell'arco d'ingresso alla Sala della Fontana, (che rappresenta "l'iwan", ossia l'ambiente di rappresentanza arabo) c'è un affresco, che raffigura una serie di figure mitologiche (al centro Giove e intorno Nettuno con il suo tridente, Plutone, Giunone, Mercurio, Vulcano, Venere, Marte....) che la credenza popolare definisce: "i diavulicchi" ed ai quali è legata una leggenda; questa racconta che nel palazzo della Zisa sia nascosto un grandissimo tesoro in monete d'oro, custodito da alcuni diavoli, che impediscono di venirne in possesso.
Sempre la leggenda, recita che: chi va a guardarli il 25 marzo, giorno dell'Annunziata, e li fissa a lungo, vede che questi diavoli muovono la coda, storcono la bocca ed addirittura, nessuno è capace di contare il loro esatto numero, inoltre, il giorno in cui si troverà il sistema per scoprire il tesoro nascosto, terminerà la povertà a Palermo.
Questa leggenda ha generato un modo di dire popolare: "E chi su, li diavoli di la Zisa?" (E che sono, i diavoli del palazzo della Zisa?), termine adottato a Palermo quando non tornano i conti...
Vespri siciliani
« se mala signoria che sempre accora i popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar "mora! mora!" »
(Citazione dei Vespri dalla Divina Commedia di Dante)
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo
che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo ma per nascente solfo
attesi avrebbe li suoi regi ancora
nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
DANTE, Paradiso, VIII, 67-75
« se mala signoria che sempre accora i popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar "mora! mora!" »
(Citazione dei Vespri dalla Divina Commedia di Dante)
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo
che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo ma per nascente solfo
attesi avrebbe li suoi regi ancora
nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
DANTE, Paradiso, VIII, 67-75
Quadro storico
Dopo la morte di Corrado, la sconfitta di Manfredi a Benevento il 26 febbraio 1266 e la decapitazione di Corradino a Napoli 29 ottobre 1268, il Regno di Sicilia era stato definitivamente assoggettato a Carlo I d'Angiò. Il Papa Clemente IV, che già aveva incoronato Re di Sicilia Carlo nel 1263, sperava così di poter imprimere ulteriormente la propria influenza sul Regno dell'Italia meridionale, senza subire gli odiati veti che furono imposti dagli svevi. Tuttavia il Papa si renderà conto molto presto che in realtà gli angioini non manterranno le promesse e perseguiranno una politica espansionistica. Conquistato il Meridione d'Italia, Carlo pensava già a Costantinopoli.
In Sicilia la situazione era particolarmente critica per una riduzione generalizzata delle libertà baronali ed una opprimente politica fiscale. L'isola, infatti, che fu sempre una fedele roccaforte sveva e resistette per alcuni anni dopo il tentativo di Corradino, ora era il bersaglio della rappresaglia angioina. Gli Angiò peraltro si mostrarono insensibili a qualunque richiesta di ammorbidimento ed applicarono un esoso fiscalismo praticando usurpazioni, soprusi e violenze. Dante Alighieri (che aveva 17 anni nel 1282) nel VIII canto del Paradiso, indica come Mala Segnoria il regno angioino in Sicilia. I nobili siciliani e soprattutto il diplomatico Giovanni da Procida riponevano le proprie speranze per una soluzione della situazione siciliana su Michele VIII Palaeologo, imperatore bizantino in contrasto con Carlo I d'Angiò, su Papa Niccolò III, che si era dimostrato sensibile e sul Re Pietro III d'Aragona. Il re d'Aragona era favorito in quanto la propria consorte Costanza era figlia di Manfredi ed unica discendente della dinastia sveva di cui la popolazione siciliana manteneva ancora il ricordo dello splendore raggiunto con il nonno, l'imperatore Federico II, tuttavia egli era impegnato dalla riconquista della parte della penisola iberica in mano ai mori. A fine 1280 accaddero due eventi storici importanti: morì Papa Niccolò mentre l'imperatore Michele era duramente impegnato da una coalizione dove vi erano fra gli altri gli Angiò e Venezia. I baroni siciliani iniziarono a organizzare una sollevazione popolare anche per dare un segno tangibile della loro forza e convincere Pietro, l'unico interlocutore rimasto a poter accorrere in aiuto dei siciliani. In questo contesto avveniva l'elezione di Papa Martino IV il 22 febbraio 1281 su cui in Sicilia si riponevano le ultime speranze. Invece il Papa, che era francese ed era stato eletto proprio grazie al sostegno degli Angiò a cui era particolarmente legato, si mostrò subito insensibile ai siciliani.
Le pressioni internazionali in realtà, celate o meno, erano molteplici data la instabile situazione politica europea di fine XIII secolo, la forte opposizione nei confronti dell'ingerenza papale e l'inarrestabile ascesa degli angioini, vassalli del pontefice,i quali ne erano al servizio assoluto.
Carlo I d'Angiò era sostenuto oltre che dal Papa Martino IV, da Filippo III di Francia e dai guelfi fiorentini. Pietro d'Aragona, che rappresentava la possibilità di frenare l'espansione angioina invece aveva i favori oltre che di Michele VIII Palaeologo, di Rodolfo d'Asburgo, di Edoardo I d'Inghilterra, della fazione ghibellina genovese, del Conte Guido da Montefeltro, di Pietro I di Castiglia, della nobiltà locale e catalana e tiepidamente delle Repubbliche marinare di Venezia e di Pisa.
La rivolta del lunedì di Pasqua
Tutto ebbe inizio all'ora del vespro del 31 marzo 1282, lunedì dopo la Pasqua, sul sagrato della Chiesa dello Spirito Santo, a Palermo. A generare l'episodio fu - secondo la ricostruzione storica - la reazione al gesto di un soldato dell'esercito francese, tale Drouet, che si era rivolto in maniera irriguardosa ad una giovane donna accompagnata dal consorte, mettendole le mani addosso con il pretesto di doverla perquisire; a difesa di sua moglie, lo sposo riuscì a sottrarre la spada al soldato francese e lo uccise. Tale gesto fu appunto la scintilla che dette inizio alla rivolta. Nel corso della serata e della notte che ne seguì i palermitani - al grido di "Mora, mora!" - si abbandonarono ad una vera e propria "caccia ai francesi" che dilagò in breve tempo in tutta l'isola, trasformandosi in una carneficina. I pochi francesi che sopravvissero al massacro vi riuscirono rifugiandosi nelle loro navi, attraccate lungo la costa.
Si racconta che i siciliani, per individuare i francesi che si camuffavano fra i popolani, facessero ricorso ad uno shibboleth (cfr. Giudici 12,5-6), mostrando loro dei ceci e chiedendo di pronunziarne il nome; appena i francesi dicevano "siseró", anziché "ciciru", venivano uccisi.
Chiesa dello Spirito Santo
Detta poi anche Chiesa di Santo Spirito del Vespro, annessa al monastero cistercense, fondato il 23 giugno 1172 per volere dell’arcivescovo di Palermo Gualtiero Offamilio e affidato a monaci cistercensi provenienti da Sambucina di Calabria sotto il regno di Guglielmo II che lo arricchì con donazioni assieme alla madre Margherita. Il 9 dicembre 1178 re Ruggero II, che aveva avuto come tutore Offamilio, lo dotò per riconoscenza di numerose terre, tanto che alcuni autori riferiscono a tale data la fondazione dell’abbazia. L’iscrizione nel presbiterio attesta che fu consacrata nel 1179. Nel 1232 il Capitolo Generale decise di considerare casa madre dell’Ordine Casamari. Divenuta Commenda e diminuiti i frati nel 1516 fu affidata da Leone X all’ospedale di Palermo, che poi la cedette agli Agostiniani, nel 1573 agli Olivetani di Santa Maria dello Spasimo. Il celebre e rivoluzionario viceré Domenico Caracciolo fece demolire nel 1782 il monastero, per costruire al suo posto il cimitero, chiamato “di sant’Orsola” dal nome dei frati che l’avevano occupato fino ad allora.
L’impianto architettonico originario della chiesa, contaminazione armoniosa tra elementi arabo-normanni e gotici, sopravvisse, anche se la facciata fu perduta e subito ricostruita. L’architetto G. Patricolo nel 1882 in occasione del sesto centenario del Vespro adottò un drastico restauro, nel proposito di ripristinare il presunto impianto abbaziale originario. distruggendo le fabbriche adiacenti, ogni traccia del convento e del cimitero settecentesco, le alterazioni barocche, gli archi centrici, le varie cappelle e le decorazioni pittoriche e a stucco. La chiesa è a tre navate, di sette campate, quattro con pilastri semicircolari, tre con pilastri quadrati (Santuario e presbiterio), e abside semicircolare affiancata da due cappelle nel presbiterio. La copertura è a capriate lignee nella navata centrale e presbiterio, a crociere lisce nelle navate piccole. Motivi policromi sono di influsso arabo con pietra lavica e tufo giallo. L’esterno, ora privo di facciata, è ornato di tarsie di lava. All’interno custodisce una pregevole Croce dipinta dl ‘400.
“Lo schema planimetrico è quello tipico dell’età normanna con ampio santuario triabsidato sopraelevato sulle tre navate”. La tradizione costruttiva arabo-normanna è ripresa sia a livello planimetrico con la fusione dello schema basilicale delle navate e quello centrale del presbiterio, sia a livello decorativo (Giuseppe Bellafiore).
RUGGERO II
A Palermo Ruggero attrasse intorno a sé i migliori uomini di ogni etnia, come il famoso geografo arabo al-Idrisi (Idrīsī o Edrisi), lo storico Nilus Doxopatrius e altri eruditi. Il Re mantenne nel regno una completa tolleranza per tutti i credi, razze e lingue. Egli fu servito da uomini di ogni nazionalità come l'anglonormanno Thomas Brun nella Curia, il rinnegato musulmano Christodoulos nella flotta e il bizantino Giorgio di Antiochia, che nel 1132 fu fatto "amiratus amiratorum" (in effetti comandante in capo).
Conte di Sicilia (1101-1130), duca di Puglia e di Calabria (1127-1130), primo re di Sicilia (1130-1154), figlio di Ruggero I d'Altavilla e di Adelaide di Monferrato.
Dapprima sotto la reggenza materna (fino al 1113), avviò poi un'energica politica di consolidamento della contea di Sicilia e, alla morte senza eredi del cugino Guglielmo duca di Puglia (1127), diede inizio ad una campagna di espansione nel Mezzogiorno, col disegno di unificare tutti i domini normanni d'Italia.
Riconosciuto duca di Puglia dal papa Onorio II (Benevento, 1128) il principe normanno assumeva così la veste di signore di tutta l'Italia meridionale, anche se non tutta ancora conquistata.
Tra il 1128 e il 1129, riuscì ad affermare il suo potere su Napoli, su Bari, su Capua e su molte altre località, continuando l'opera di unificazione. Alla morte di Onorio II (1130), ebbe il titolo di re di Sicilia e degli Stati principeschi di Puglia, Calabria e Capua, e fu incoronato a Palermo, il 25 dicembre 1130.
Ruggero II fece del regno di Sicilia uno degli Stati d'Europa più potenti e meglio ordinati (base legislativa, le Assise del Regno di Sicilia, date ad Ariano nel 1140). Molto tollerante per quanto riguardava le profonde differenze etniche e religiose esistenti tra i suoi sudditi, incoraggiò le attività artistiche e culturali.
Ruggero rese la Sicilia la potenza dominante del Mediterraneo. Grazie ad una potente flotta, costituita sotto diversi ammiragli, effettuò una serie di conquiste sulla costa africana (1135 - 1153), che andavano da Tripoli a Capo Bon.
In Sicilia si ebbe il primo Parlamento, nel 1129, con Ruggero II. L'Inghilterra lo ebbe solo nel 1264. Si ebbe il primo Stato "burocratico", vale a dire basato su funzionari e non su una organizzazione feudale (vassalli, valvassori e valvassini). Si ebbe il primo stato "laico", indipendente dalla chiesa di Roma e soprattutto si continuò, come nel periodo arabo, ad applicare uno spirito di tolleranza religiosa e civile che nel resto d'Europa sarà riconosciuta solo nel 1598 (cioè ben quattro secoli dopo) con l'editto di Nantes di Enrico IV di Francia.
Il Re morì a Palermo il 26 febbraio 1154, e suo successore fu il quarto dei suoi figli, Guglielmo. La tomba di Ruggero II nella cattedrale di Palermo
COSTANZA D'ALTAVILLA
Costanza d'Altavilla, conosciuta anche come Costanza di Sicilia (2 novembre 1154 – Palermo, 27 novembre 1198), era figlia di Ruggero II. Regina di Sicilia e Imperatrice (come moglie di Enrico VI di Svevia) fu madre di Federico II di Svevia.
Costanza di Sicilia fu figlia postuma di Ruggero II re di Sicilia e della sua terza moglie Beatrice di Rethel. Inizialmente Costanza aveva manifestato interesse per la vita in convento, ma successivamente, grazie all'interessamento di Guglielmo II di Sicilia (Guglielmo il Buono), ella sposò a Milano il 27 gennaio 1186 Enrico VI di Svevia figlio dell'imperatore Federico il Barbarossa. La dote della sposa ammontava a 14 tonnellate d'oro. Enrico (1165) era di circa undici anni più giovane di Costanza. Con l'unione gli intenti dei principali fautori erano chiari: Guglielmo aveva l'interesse a mantenere salda la dinastia, oramai in declino, rafforzandola con l'ingresso degli Svevi, allora in ascesa, mentre Federico il Barbarossa ambiva fortemente ad ampliare l'impero inglobando proprio l'Italia.
FEDERICO II
(stupor mundi)
(stupor mundi)
Federico VII Hohenstaufen di Svevia, o Federico I di Sicilia o Federico II del Sacro Romano Impero (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250), fu re di Sicilia, re di Gerusalemme, imperatore dei Romani, re d'Italia e re di Germania.Popolarmente conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia del mondo") o puer Apuliae ("fanciullo di Puglia), fu Sacro Romano Imperatore dal 1220 al 1250. Appartenente alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, fu inoltre re di Germania, re d'Italia, re di Borgogna, re di Gerusalemme e, col nome di Federico I, Re di Sicilia dal 1198 al 1250.Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male.Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione tecnologicae culturale, volte ad unificare le terre ed i popoli, fortemente contrastata dalla Chiesa. Egli stesso apprezzabile letterato, fu convinto protettore di artisti e studiosi. La sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica.
Federico II di Svevia(Iesi, Ancona 1194 - Castel Fiorentino presso San Severo, Foggia 1250), imperatore del Sacro romano impero (1215-1250) e, con il nome di Federico I, re di Sicilia (1198-1212). Figlio dell'imperatore Enrico VI e nipote dell'imperatore Federico I, della famiglia di Hohenstaufen, fu proclamato re di Sicilia (1196) sotto la reggenza della madre, Costanza d'Altavilla. Morta la madre Federico, che aveva solo quattro anni, venne posto sotto la tutela di papa Innocenzo III, il nuovo reggente di Sicilia. Quando i principi tedeschi deposero l'imperatore Ottone IV (1211) e proclamarono come suo successore Federico, scoppiò una contesa: Ottone era riluttante a lasciare il trono imperiale, ma Federico beneficiava dell'appoggio del papato, al quale aveva promesso molti privilegi, e del sostegno della Francia. La disputa si risolse a favore di Federico che venne incoronato re di Germania a Aix-la-Chapelle (ora Aachen) nel 1215 e imperatore del Sacro romano impero a Roma nel 1220.
In occasione della sua incoronazione, si impegnò con la Chiesa per condurre una crociata contro gli infedeli, anche se poco dopo rimandò la partenza, impegnato a combattere l'anarchia feudale in Sicilia e l'autonomia dei Comuni lombardi. Questi infatti nel 1226 ricostituirono la Lega lombarda, originariamente formata contro il nonno di Federico, l'imperatore Federico I; l'anno seguente il sovrano annullò la pace di Costanza e mise al bando i Comuni lombardi. Minacciato varie volte di scomunica se non avesse rispettato la parola data al momento dell'incoronazione, Federico nel 1228 guidò la quinta crociata in Terra Santa dove, tramite un accordo con il sultano d'Egitto, ottenne Gerusalemme e concluse una tregua di dieci anni. Sposatosi con Iolanda di Brienne, figlia del re di Gerusalemme, e poco dopo rimasto vedovo, ottenne il titolo di re di Gerusalemme e fu incoronato nella stessa città nel 1229.
Ritornato in Europa, fu impegnato su due fronti: in Germania, i principi guidati dal figlio, Enrico VII (re di Germania dal 1228), si sollevarono contro l'imperatore, che riuscì a ristabilire la pace solo nel 1235, con la grande tregua di Magonza; in Italia i comuni lombardi di parte guelfa si erano alleati con il pontefice. Nel 1237, con la battaglia di Cortenuova, Federico ottenne una vittoria decisiva sulla Lega Lombarda; ma la disputa con il papato durò ancora a lungo, tanto che l'imperatore fu scomunicato altre due volte, la prima nel 1239 da papa Gregorio IX e la seconda nel 1245 da papa Innocenzo IV. Nel 1231, in Sicilia, promulgò un nuovo codice di leggi conosciuto come le Costituzioni melfitane, considerato la migliore legislazione di un sovrano occidentale dai tempi di Carlo Magno. La sua corte siciliana fu un importante centro culturale, dove confluirono le tradizioni latine, greche e arabe, dove musulmani ed ebrei vennero trattati con la massima tolleranza, e che lo stesso Dante definì culla della poesia italiana. Lo stesso Federico, colto e studioso di filosofia e di scienza, partecipò a varie dispute intellettuali. Nel 1224, Federico fondò l'Università di Napoli. Alla sua morte il regno di Sicilia passò al figlio Corrado IV.
LA SCUOLA SICILIANA
La prima lirica di arte volgare fu scritta in Sicilia alla corte di Federico II. Il re stesso, intellettuale e laico, era convinto della funzione di civiltà della cultura ed interessato alle arti ed alle scienze.
Egli seppe creare una corte di dotti di ogni parte del mondo, cosicché la sua reggia divenne uno dei crocevia della cultura italiana.
I poeti della scuola siciliana non furono tutti siciliani, ma usarono il dialetto siciliano depurandolo di quanto aveva di plebeo e di idiomatico ed arricchendolo con voci derivate dal provenzale, fino a farne una lingua letteraria degna della definizione di "illustre".
Si suole far iniziare la parabola della lirica siciliana con la traduzione, che è, in realtà, una ben più complessa rielaborazione, di una lirica del trovatore Folchetto di Marsiglia da parte di Jacopo da Lentini.
I siciliani, infatti, imitarono da vicino i modelli provenzali dai quali derivarono le caratteristiche formali e le tematiche.
Il tema delle rime è essenzialmente amoroso ed il poetare è soprattutto un raffinato esercizio letterario. I siciliani, tuttavia, introdussero novità metriche, come la canzone ed il sonetto.
I principali rappresentanti della scuola furono lo stesso Jacopo da Lentini, Pier della Vigna, Rinaldo d'Aquino, Giacomino Pugliese
PANORMUS734- Età : 38
Località : Palermo
Indirizzo di studi : Storia
Campo di ricerca : Basso medioevo
Data d'iscrizione : 30.09.10
Numero di messaggi : 6
Argomenti simili
» STORIA DI PALERMO (Parte 1)
» STORIA DI PALERMO (parte 3)
» Palermo, parte di litorale dell'Addaura
» Storia contemporanea (Di Figlia)
» STORIA EUROPEA : Storia Moderna/ fonti della Storia Moderna ESAME spostato al 6 Luglio
» STORIA DI PALERMO (parte 3)
» Palermo, parte di litorale dell'Addaura
» Storia contemporanea (Di Figlia)
» STORIA EUROPEA : Storia Moderna/ fonti della Storia Moderna ESAME spostato al 6 Luglio
Pagina 1 di 1
Permessi in questa sezione del forum:
Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
Mar Set 02, 2014 4:24 pm Da Laura21
» Storia Romana Professoressa Rosalia Marino. Che vi ha chiesto?
Lun Lug 07, 2014 1:56 pm Da chiara trupiano
» Programma Storia dell'Arte Medievale Travagliato
Gio Giu 12, 2014 6:06 am Da Sweets
» PRESENTAZIONE
Mar Gen 07, 2014 3:33 pm Da MIMMI89
» Ab urbe condita: la fondazione/formazione di Roma
Mar Dic 24, 2013 9:29 am Da 86animal
» Ab urbe condita: la fondazione/formazione di Roma
Mar Dic 24, 2013 9:26 am Da 86animal
» Esami di Archivistica, bibliografia e biblioteconomia
Gio Nov 14, 2013 3:29 pm Da pinelli
» geografia culturale de spuches
Mer Nov 06, 2013 10:04 am Da pinelli
» CIVILTà BIZANTINA CON LA PROFESSORESSA ROGNONI
Mer Ott 09, 2013 1:41 pm Da Antonellina88