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MARCO AURELIO, L'IMPERATORE FILOSOFO Empty MARCO AURELIO, L'IMPERATORE FILOSOFO

Messaggio  Achille Dom Ott 31, 2010 4:06 pm

MARCO AURELIO, L'IMPERATORE FILOSOFO Marco_10

Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto (Roma, 26 aprile 121[3] – Vindobona, 17 marzo 180) è stato un imperatore, filosofo e scrittore romano. Fu adottato nel 138 dallo zio Antonino Pio che lo nominò erede al trono imperiale. Fu imperatore - assieme a Lucio Vero, suo fratello adottivo essendo stato anch'egli adottato da Antonino Pio - dal 161 sino alla morte, avvenuta per malattia nel 180, a Sirmio (secondo Tertulliano, suo contemporaneo), o presso Vindobona.[4]
Considerato dalla storiografia tradizionale come un sovrano capace e assennato - il quinto dei cosiddetti "buoni imperatori" menzionati da Edward Gibbon - il suo regno fu tuttavia funestato da conflitti bellici (guerre partiche e guerre marcomanniche), carestie e pestilenze.
Marco Aurelio è ricordato anche come un importante filosofo stoico, autore dei Colloqui con se stesso (Τὰ εἰς ἑαυτόν nell'originale in greco).
Alcuni imperatori successivi utilizzarono il nome "Marco Aurelio" per sottolineare un inesistente legame con Marco Aurelio. Tra questi vi furono: Marco Aurelio Probo, Marco Aurelio Mario, Marco Aurelio Caro e Marco Aurelio Carino.

ORIGINI FAMILIARI

Nato come Marco Annio Vero, prese il nome di Marco Aurelio Valerio a diciassette anni, il 25 febbraio 138, quando venne adottato dallo zio Antonino Pio assieme a Lucio Vero e designato di lì a poco come successore al trono. La duplice adozione avveniva contestualmente a quella di Antonino Pio da parte dell'imperatore Adriano che aveva richiesto questo atto come condizione per farlo erede al trono. Quando, nel 139, fu designato erede al soglio imperiale, assunse il nome di Aurelio Cesare figlio del Pio Augusto.
Marco Aurelio sposò nel 145 la cugina Faustina Minore, figlia dell'imperatore dell'epoca, Antonino Pio, e di Faustina Maggiore, da cui ebbe diversi figli tra cui il futuro imperatore, Commodo e Lucilla, futura moglie di Lucio Vero.

PRINCIPATO (161-180)

Primo esempio di collegialità di governo imperiale (161-169)

Fin dal suo avvento, Marco Aurelio ottenne dal Senato che Lucio Vero gli fosse associato su un piano di parità, con gli stessi titoli, ad eccezione del pontificato massimo che non si poteva dividere. La formula era innovativa: per la prima volta alla testa dell'impero vi era una collegialità. In teoria, i due fratelli avevano gli stessi poteri. In realtà, Marco Aurelio conservò sempre una preminenza che Vero non contestò.
Le ragioni di questa collegialità non sono chiare. La successione congiunta potrebbe essere stata motivata da esigenze militari come accadeva in età arcaica nella diarchia spartana.
Occorreva infatti una figura rappresentativa e carismatica al comando delle truppe. Neanche l'Imperatore in persona avrebbe potuto difendere entrambi i fronti allo stesso tempo, e nemmeno avrebbe potuto semplicemente incaricare un generale di condurre un assalto. Già in passato comandanti militari molto popolari come Giulio Cesare e Vespasiano avevano usato l'esercito per sovrapporsi ai governi esistenti ed installarsi al potere.

Amministrazione dello stato

Sul piano della politica interna, Marco Aurelio si rivelò rispettoso delle prerogative del senato consentendogli di discutere e di decidere su tutti i principali affari dello Stato, come la dichiarazione di guerra ai popoli e i trattati con questi stipulati. Avviò anche una politica tendente a valorizzare le altre categorie sociali: ad uomini di tutte le provincie fu reso possibile raggiungere le più alte cariche dell'amministrazione statale. Né ricchezza, né illustri antenati influenzavano il giudizio di Marco Aurelio, ma solo il merito personale. Non riuscì a realizzare i suoi ideali stoici di eguaglianza e libertà perché l'esigenza di controllare le finanze locali lo portarono alla costruzione di una classe burocratica che presto volle arrogarsi diritti e privilegi e si costituì quale classe chiusa.
L'assetto amministrativo introdotto da Augusto quasi 150 anni prima e che fino ad allora aveva servito egregiamente l'Impero salvandolo anche quando si erano succeduti Imperatori dissoluti come Caligola e Nerone o in occasione della guerra civile del 69, cominciava ad acquisire piena consapevolezza del proprio potere. Marco Aurelio, anche se fu continuamente impegnato nelle guerre specie alla frontiera danubiana, si interessò attivamente dell'amministrazione e delle leggi cercando di mitigare le condizioni degli schiavi e favorendone l'emancipazione. Tentò anche nuove vie commerciali: si ricorda una ambasceria mandata presso l'Imperatore Cinese nel 166. I Cinesi lo conoscevano col nome di An-Tun.
Istituì l’anagrafe: ogni cittadino romano ebbe l'obbligo di registrare i propri figli entro trenta giorni dalla loro nascita. Impiegò il denaro non in splendide architetture, ma in opere di ricostruzione assolutamente necessarie, o in migliorie della rete stradale, da cui dipendeva la difesa dell'impero e il progresso del commercio, in fortezze, accampamenti e città. La grandiosa colonna di Marco Aurelio di fronte a Palazzo Chigi (alta 42 m) fu eretta dopo la sua morte per ricordare proprio le vittorie sul fronte germanico-danubiano. La colonna era sormontata da una statua dell’Imperatore, ma ora vi è posta quella di S. Paolo (è lo stesso destino di Traiano sulla cui Colonna è stata posizionata una statua di S. Pietro).

POLITICA ESTERA

Guerra partica (161/2-166)

In Asia, l'Impero dei Parti che aveva ripreso vita, rinnovava i suoi attacchi. Marco Aurelio risolse il problema mandando Lucio Vero a comandare le legioni orientali. Egli aveva infatti abbastanza autorità da riscuotere la piena lealtà delle truppe, ma non era abbastanza potente da essere tentato di sopraffare Marco stesso. Il piano ebbe successo: Vero sconfisse i Parti nel 166 e rimase leale a Marco Aurelio fino alla propria morte sul campo nel 169.
Questa autorità compartita era molto simile al sistema politico della passata Repubblica che si basava sul principio della collegialità e non permetteva ad una singola persona di impadronirsi del potere supremo. Il governo congiunto sarebbe stato ripristinato dalla struttura del potere inaugurata da Diocleziano: la Tetrarchia nel tardo III secolo.

La grande crisi germano-sarmatica (166/7-180)

La guerra che scoppiò nella seconda parte del II secolo contro l'Impero romano da parte di una coalizione di natura militare, composta da una decina di popolazioni germaniche e sarmatiche (dai Marcomanni della Moravia, ai Quadi della Slovacchia, alle popolazioni vandaliche dell'area carpatica, agli Iazigi della piana del Tisza, fino ai Buri di stirpe suebica del Banato), era la naturale conseguenza di una serie di forti agitazioni interne e di continui movimenti migratori che avevano ormai modificato gli equilibri con il vicino Impero romano. Questi popoli erano alla ricerca di nuovi territori dove insediarsi, sia per la pressione di altri popoli barbarici confinanti sia per il crescente aumento demografico della popolazione nell'antica Germania. Erano, inoltre, attratti dalle ricchezze e dalla vita agiata del mondo romano.[5]
La frontiera danubiana era in quel periodo più sguarnita del solito, a causa sia per la sottrazione delle legioni inviate contro i Parti, sia per una grave epidemia di peste, scoppiata durante l'ultimo anno di campagna in Oriente (166) e portata dagli stessi legionari all'interno dei confini dell'Impero. Tale epidemia avrebbe falcidiato la popolazione dell'Impero per oltre un ventennio, causando una catastrofe demografica paragonabile a quella che colpì l'Europa nel XIV secolo.[6]
Nel 166/167, avvenne il primo scontro lungo le frontiere della Pannonia ad opera di poche bande di predoni longobardi e osii, che, grazie al pronto intervento delle truppe di confine, furono prontamente respinte. La pace stipulata con le limitrofe popolazioni germaniche a nord del Danubio furono gestite direttamente dagli stessi imperatori, Marco ed il fratello Lucio Vero, ormai diffidenti nei confronti dei barbari aggressori e recatisi per questi motivi fino nella lontana Carnuntum (nel 168). La morte prematura del fratello, Lucio (nel 169 poco distante da Aquileia), ed il venir meno ai patti da parte dei barbari, portò una massa mai vista prima d'ora, a riversarsi in modo devastante nell'Italia settentrionale fin sotto le mura di Aquileia, il cuore della Venetia, e provocando un'enorme impressione: era dai tempi di Mario che una popolazione barbara non assediava dei centri del nord Italia.
Marco combatté una lunga ed estenuante guerra contro le popolazioni barbariche, prima respingendole e "ripulendo" i territori della Gallia cisalpina, Norico e Rezia (170-171), poi contrattaccando con una massiccia offensiva in territorio germanico, che impiegò diversi anni di scontri, fino al 175. Questi accadimenti costrinsero lo stesso imperatore a risiedere per numerosi anni lungo il fronte pannonico, senza mai far ritorno a Roma. L'apparente tregua sottoscritta con queste popolazioni, in particolare Marcomanni, Quadi e Iazigi durò però solo un paio d'anni. Alla fine del 178 Marco fu costretto a fare ritorno nel castra di Brigetio da dove, fu condotta l'ultima campagna nella primavera successiva del 179. Si racconta infatti che:
« I Quadi essendo poco disposti a sopportare la presenza di forti romani costruiti nel loro territorio [...] tentarono di migrare tutti insieme verso le terre dei Semnoni. Ma Marco Aurelio Antonino che ebbe queste informazioni in anticipo della loro intenzione di partire per altri territori, decise di chiudere loro tutte le via di fuga, impedendone la loro partenza. »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, LXXII, 20.2.)
La successiva morte dell'imperatore romano nel 180 pose fine ai piani espansionistici romani. Egli infatti, ricoverato a Vindobona (Vienna) vi morì il 17 marzo 180. Per Tertulliano, uno storico contemporaneo, sarebbe invece deceduto sul fronte sarmatico, non molto distante da Sirmio.
Egli riuscì ad assicurare la successione al figlio Commodo, anche se la scelta non fu felice e venne perciò molto criticato in seguito. Commodo, infatti, si rivelò un cattivo politico, ma non un cattivo militare come molti autori latini sostenevano, oltre che un sovrano esageratamente dedito ai propri interessi.

IL PENSIERO FILOSOFICO

L'imperatore Marco Aurelio fu l'ultimo grande esponente della dottrina stoica. La celebrazione dell'interiorità si evidenzia chiaramente fin dal titolo della sua opera "Ricordi o Colloqui con se stesso".

I Colloqui con se stesso, anche conosciuti come Pensieri, Meditazioni o Ricordi, sono una serie di riflessioni dell'imperatore e filosofo romano Marco Aurelio, apparentemente fuori dal tempo, senza cronologia. Scritti in XII libri in lingua greca, rappresentano un'opera letteraria unica nel suo genere, che sembra ripercorrere gli ultimi 12 anni della vita interiore di questo imperatore.

Molti autori moderni ritengono che il primo di questi libri, scritto sulla Granua (l'odierno fiume Hron, della Slovacchia), costituisca una specie di testamento interiore, dove Marco Aurelio ricordava tutte le persone importanti della sua vita in forma autobiografica, forse databile al 179 (poco prima della sua morte). Il libro II, scritto a Carnuntum, ritenuto anch'esso di più tarda datazione, potrebbe essere stato scritto nel 178, e cosa più importante, rappresentare la chiave di lettura per una possibile interpretazione cronologica dell'opera. In questo caso sarebbe troppo facile (anche se assolutamente possibile) ipotizzare una cronologia in cui il primo dei libri è databile al 179 e l'ultimo, il XII, al 168, poco dopo la morte dell'amico fraterno, nonché suo insegnante Marco Cornelio Frontone.
Marco sembra riprendere le posizioni stoiche, con un accento sul senso di impotenza dell'Uomo di fronte a Dio, e della superficialità delle rappresentazioni umane. Egli sembra adeguarsi alle ragioni supreme che governano il mondo, in quanto sapiente e filosofo, pur tendendo in questo suo scritto di fuggire dal mondo e dalla materialità della vita. Di fronte al "non senso" del mondo e delle sue realtà caduche, l'unica via che rimane al saggio è il ripiego su se stessi che dà significato alla propria esistenza individuale.
Come in Seneca, per Marco Aurelio l'anima è distinta e separata dal corpo ma essa è poi ulteriormente composta dall'anima vera e propria, intesa come spirito, pneuma, soffio vitale e l'intelletto, la sede dell'attività spirituale.
Nel suo ruolo di imperatore, compie stoicamente il suo dovere per ciò che attiene al suo ruolo politico, ma sente l'inutilità e il non senso di azioni che non cambieranno l'irrazionalità che travaglia il mondo umano:
" Volgi subito lo sguardo dall'altra parte, alla rapidità dell'oblio che tutte le cose avvolge, al baratro del tempo infinito, alla vanità di tutto quel gran rimbombo, alla volubilità e superficialità di tutti coloro che sembrano applaudire... Insomma tieni sempre a mente questo ritiro che hai a tua disposizione in questo tuo proprio campiello " (Ricordi, IV, 3).

NOTE

1^ AE 1897, 124.
2^ a b AE 1971, 292 = AE 1986, 533 = AE 1987, 791.
3^ Anthony Birley, Marco Aurelio, Rusconi, Milano 1990, p.60.
4^ Marco Aurelio, voce su Enciclopedia Britannica Online.
5^ Southern, pp. 206-207.
6^ Giorgio Ruffolo, Quando l'Italia era una superpotenza, Einaudi, 2004, p. 84.

BIBLIOGRAFIA

Fonti primarie

Aurelio Vittore, De Caesaribus (qui nella versione latina) ed Epitome de Caesaribus (qui nella versione latina).
Dione, Storia romana, LXXII e LXXIII; versione inglese QUI e QUI.
Erodiano, Storia dell'impero dopo Marco Aurelio, I; versione inglese QUI.
Historia Augusta, Marco Aurelio e Commodo; versione inglese QUI, QUI e QUI.
Marco Aurelio, Colloqui con se stesso, I-XII.
Tertulliano, Apologeticum, XXV (qui nella versione latina).

Fonti secondarie

A. Birley, Marco Aurelio, trad. it., Milano, 1990.
P. Grimal, Marco Aurelio, trad. it., Milano, 2004.
M.Grant, The Antonines: the Roman empire in transition, Londra e N.Y. 1994. ISBN 978-0-415-13814-7
Giuseppe Antonelli Gli uomini che fecero grande Roma antica, Roma 2002
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