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Messaggio  Achille Sab Giu 12, 2010 11:44 am

LA RESISTENZA ITALIANA SUL PIAVE Il-pia10

Nelle fasi finali della Prima guerra mondiale sul fiume Piave prese inizio l'offensiva italiana destinata a concludersi vittoriosamente a Vittorio Veneto.

Nell'ottobre del 1917 le truppe italiane, che nello stesso anno avevano già sferrato tre infruttuose offensive sull'Isonzo, subirono l'unica vera sconfitta, che poteva trasformarsi in disfatta, a Caporetto. Gli austro-ungarici, che avevano temuto di perdere Trieste, decisero di attaccare, con l'appoggio di truppe tedesche (7 divisioni), per porre fine alla insistente pressione italiana. Il piano, accuratamente preparato, non colse di sorpresa gli italiani, ma li trovò in fase di predisposizione di nuove linee, il cui assetto era stato oggetto di contrasto tra le direttive del Comando Supremo (generale Cadorna) e la concezione, più offensiva, del comandante della 2a Armata (generale Capello). Alle 2:00 del mattino del 24 ottobre 1917 ebbe inizio l'azione degli austro-ungarici il cui svolgimento seguì con precisione le direttive:

dalle 2:00 alle 6:00 bombardamento con proiettili tossici
alle 6:30 azione di fuoco generale
alle 8:00 scatto delle fanterie in tutta la zona tra Plezzo e Stelo, sulle posizioni tenute dal IV Corpo d'armata e dal settore sinistro del XXVII (19a Divisione).
Alle 15:00 Caporetto era occupata.

Incominciò allora la grande e spesso disordinata ritirata dell'Esercito Italiano verso le linee del Tagliamento prima e del Piave poi. Una linea difensiva sul Piave era stata prevista dal generale Cadorna già nel 1916: il piano di attuazione del ripiegamento fu così messo a punto nella notte del 27 ottobre.

Tra il 2 ed il 3 novembre gli austro-ungarici forzarono anche il Tagliamento: fu ordinata perciò nel campo italiano la ritirata generale sul Piave. Il mattino del 9 novembre il passaggio delle truppe italiane sulla destra del fiume era quasi ultimato e nel pomeriggio furono fatti saltare tutti i ponti.
In quello stesso giorno il generale Luigi Cadorna, che aveva spostato il Comando Supremo da Udine a Treviso prima ed a Padova poi, veniva sostituito nel Comando Supremo dell'esercito dal generale Armando Diaz. Questi, ritenendo Padova troppo esposta ai bombardamenti, il 5 febbraio 1918 decise di trasferire il Comando Supremo ad Abano Terme, ai piedi dei Colli Euganei, meno rilevabile dagli aerei.
Ma l'Austria-Ungheria, che non aveva saputo sfruttare a pieno la sua vittoria, si ripromise di liquidare l'Italia tramite un'offensiva risolutiva per l'estate del 1918. Il relativo piano di battaglia venne elaborato a Bolzano con l'intervento del Capo di Stato Maggiore dell'esercito tedesco Erich Ludendorff.

Tra il 15 ed il 22 giugno del 1918 i due comandanti in capo dell'esercito austro-ungarico (il generale Conrad ed il feldmaresciallo Boroevic) scatenarono la battaglia (Battaglia del solstizio), l'uno sulla linea montana dell'altipiano del Grappa, l'altro nella pianura dal Montello al mare.
L'attacco fu estremamente violento, ma l'esercito italiano si era ormai completamente ripreso dallo scoraggiamento e dal disordine di Caporetto. In una settimana quella che doveva essere la sconfitta definitiva dell'Italia si risolse in una grande vittoria difensiva. Le teste di ponte austriache in direzione Fagarè, Zenson, Maserada, Salettuol e Spresiano, videro gli austriaci ricacciati dall'altra parte del Piave.
Gli austro-ungarici, oltre al gran numero di uomini, persero la loro baldanza e la certezza del successo finale. In questa occasione si vide quanto importante fosse la funzione difensiva del Piave: le acque si erano improvvisamente gonfiate, ma questo non fu certo determinante, dato che sia agli Italiani che agli Austriaci erano ben noti il regime di piena del fiume. L'episodio tuttavia fece attribuire un'aura di leggenda al fiume, che servì da ispirazione alla celebre Canzone del Piave. Il fronte austro-ungarico a quel punto era logoro, senza vettovaglie, affamato e carente di munizioni, nella loro baldante avanzata aveva allungato inverosimilmente il campo, e l'artiglieria del regio esercito italiano aveva tagliato ogni rifornimento, solo negli alti comandi a Vienna non si rendevano conto della situazione.
Si calcola che, sul Piave, gli austro-ungarici abbiano lasciato 100.000 morti ed altrettanti fra prigionieri e feriti.

Dopo questa battaglia, che è la necessaria premessa della vittoria finale italiana, il fronte si stabilizzò in un vasto arco di circa 300km, dalle Alpi Retiche all'Adriatico. I due eserciti si fronteggiavano in attesa della mossa successiva.
Gli italiani erano sulla destra del Piave, gli austro-ungarici sulla sinistra.
L'esercito italiano schierava 57 divisioni, di cui 3 inglesi, 2 francesi ed una cecoslovacca (oltre ad un reggimento di fanteria americano); gli austro-ungarici 57 e mezza.
Le divisioni austro-ungariche erano però indubbiamente più forti: contavano di 724 battaglioni di fanteria, generalmente su quattro compagnie, armati ciascuno con 24 mitragliatrici. Quelle italiane avevano 704 battaglioni, su 3 compagnie, con 18 mitragliatrici ciascuna.
L'Italia ed i suoi alleati avevano però una certa prevalenza di artiglieria: 7.700 bocche da fuoco (di cui 250 inglesi e 200 francesi), oltre a 1.745 bombarde, contro 6.030 pezzi austro-ungarici.
Il comando supremo italiano era dislocato ad Abano, nei pressi di Padova, quello austro-ungarico a Baden, vicino a Vienna. I comandi erano tenuti nominalmente dai due sovrani, Vittorio Emanuele III e Carlo I, ma erano esercitati, per l'Italia, dal generale Armando Diaz, di 57 anni, per l'Austria-Ungheria dal generale Arz von Straussenburg, di 66.
L'esercito italiano schierava otto armate:

la 7a (comandata dal gen. Giuseppe Pennella), la 1a e la 6a fronteggiavano gli austro-ungarici dallo Stelvio alla Valsugana;
la 4a e la 12a (comandata dal generale francese Graziani e formata da una divisione francese e tre italiane) tenevano il settore del Grappa tra il Brenta ed il Piave;
l'8a, la 10a (comandata dall'inglese Frederick Lambart e formata da 2 divisioni inglesi e dall'XI Corpo d'armata italiano) e la 3a sostavano lungo il Piave;
la 9a armata, quattro divisioni di cavalleria ed il reggimento di fanteria americano componevano la riserva.

L'esercito austro-ungarico era articolato in due grandi gruppi:

il Gruppo Arciduca Giuseppe (l'Arciduca Giuseppe aveva sostituito Conrad il 15 luglio) detto anche Tirolo, composto dalla 10a ed 11a armata che tenevano il settore montano
il Gruppo Boroevic composto dal Gruppo Belluno (3 corpi d'armata), dalla 6a e dalla 5a Armata, detto anche Armata dell'Isonzo.

Il generale Diaz resistette alle pressioni degli impazienti e preparò accuratamente la sua offensiva facendo affluire al fronte altri uomini, 1.600 bocche da fuoco, 500 bombarde e 2.400.000 proiettili.
Tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre fu messo a punto il piano d'attacco italiano:
l'8a Armata (composta di 14 divisioni e comandata dal generale Enrico Caviglia) doveva passare il Piave tra il Montello e le Grave di Papadopoli, dove si trovava la 10a Armata.
la 4a Armata (su 9 divisioni, comandata dal generale Giardino), congiuntamente all'ala sinistra della 12a Armata e con l'appoggio dell'artiglieria della 6a Armata avrebbe dovuto impegnare fortemente gli austro-ungarici sul Grappa allo scopo di dividere le forze dell'arciduca Giuseppe da quelle del Gruppo Boroevic e prendere possibilmente alle spalle gli austro-ungarici impegnati sul Piave dall'8a Armata.
L'azione italiana della zona del Grappa doveva precedere quella del Piave: l'una avrebbe avuto inizio all'alba, l'altra alla sera del giorno fissato per l'attacco, che in un primo tempo doveva essere il 18 ottobre ma fu poi spostato al 24, anniversario dell'attacco di Caporetto.
Alle 3:00 del mattino del 24 ottobre l'artiglieria del XXX Corpo d'armata aprì il fuoco contro le posizioni nemiche sul Grappa, seguita poco dopo da quelle del VI e del IX Corpo della 4a Armata e del I della 12a Armata.
La reazione austro-ungarica fu furiosa: episodi di valore furono numerosi d'ambo le parti. Molte cime furono più volte prese e perdute. Il 31 ottobre il Grappa, isolato, crollò. Gli italiani, in quel settore, avevano avuto 34.507 morti. Frattanto l'azione si era sviluppata anche sul Piave, che però, fra la sera del 23 ed il mattino del 24, si era ingrossato in modo pauroso per le piogge intense. La corrente aveva acquistato la velocità di 3-4 metri al secondo. Divenne difficilissimo gettare i ponti che la corrente trascinava a valle o gli austro-ungarici centravano con i loro tiri. Solo alle Grave di Papadopoli si potevano costruire piccole teste di ponte sulla riva nemica. Ma bisognava passare: i pontieri fecero sforzi sovrumani e, decresciuto leggermente il livello delle acque, il mattino del 26 il comando dell'8a Armata diede l'ordine di passare il Piave.
Alla sera del 27 gli italiani avevano costituite tre solide teste di ponte a Papadopoli, a Valdobbiadene e a Sernaglia. Speciali drappelli di arditi nuotatori (i caimani del Piave) mantennero le difficili comunicazioni.
La notte del 28 il livello del Piave decrebbe sensibilmente: si gettarono altri ponti e ben nove Corpi d'armata poterono trovarsi, così, il mattino del 29, al di là del fiume donde sferrarono l'offensiva.
Intanto le notizie che giungevano dall'impero austro-ungarico demoralizzavano le truppe di quel paese: il 28 la Cecoslovacchia si era resa indipendente, l'Ungheria il 31 avrebbe fatto altrettanto (con conseguente diserzione di cechi, slovacchi e ungheresi). Il 28 il Comando generale austriaco dette l'ordine di ritirarsi e chiese l'armistizio. Il giorno 30 una colonna di cavalleria e di ciclisti occupava Vittorio Veneto, metre la 3a Armata, comandata dal Duca d'Aosta e schierata sul basso Piave sino al mare, avanzava verso la Livenza ed il Tagliamento.
L'esercito austro-ungarico in fuga lasciava nelle mani italiane circa 300.000 uomini e 5.000 cannoni.
La vittoria italiana fu aiutata dalla scarsità dei viveri austriaca, e dallo sfaldamento dell'Austria-Ungheria. A questo si aggiunse la perdita di morale dei soldati austro-ungarici.
Al momento della firma dell'armistizio, i delegati austriaci chiesero che le ostilità si fermassero subito, mentre gli Italiani sostenevano che sarebbero dovute continuare per altre 24 ore. Sotto la minaccia di proseguire con la guerra, che l'Impero Austro-Ungarico (che si stava sfaldando in quei precisi momenti) non era in grado di sopportare.
Achille
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