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Messaggio  Achille Lun Giu 07, 2010 4:27 pm

L'ERESIA DEI CATARI Rogo_d10

Il catarismo (dal greco καθαροί [katharòi] = «puri») costituì un movimento ereticale diffuso in Europa tra il XII e il XIV secolo. Il termine deriva dal greco katharos (=puro), con il quale si autodefinirono per primi i seguaci del vescovo Novaziano elettosi antipapa nel 251; per questa ragione il termine katharoi fu citato per la prima volta in un documento ufficiale della Chiesa Cristiana nei canoni del Concilio di Nicea del 325.
Una diversa etimologia del termine "catari", proposta per la prima volta dal teologo Alano di Lilla (1200 ca.), sostiene che il termine derivi sia dal greco katha (spurgo), perché "trasudano tutti i loro vizi", sia dal latino catus (gatto), perché "si dice che adorino il diavolo sotto le sembianze di un gatto".
Con la definizione di càtari, detti anche albigesi (dal nome della cittadina francese di Albi), furono successivamente designate le persone coinvolte nel sostegno culturale o religioso del movimento ereticale sorto intorno al XII secolo in Occitania.
Le dottrine càtare vennero condannate come eretiche dalla Chiesa romana, prima ancora che essa, dopo il Concilio di Trento potesse definirsi Chiesa cattolica.
I càtari non furono duramente combattuti, come si crede generalmente, da Bernardo di Chiaravalle, il quale creò proprio per loro i "conversi", corpo laico all'interno dei monasteri cistercensi, nei quali essi potevano esprimersi nelle loro pratiche religiose. Egli guardava a loro con interesse: sebbene la loro predicazione non fosse accettabile da parte della Chiesa, il loro modo di vivere era encomiabile, fondato sull'esercizio di povertà, umiltà e carità. Era questo il fondamento della facile diffusione dell'eresia, poiché era più vicino alla povera gente di quanto non lo fossero gli altri prelati con le loro sottili discussioni teologiche.
Fu proprio per contenere l'estendersi del fenomeno càtaro che, dopo infruttuosi tentativi da parte di alcuni legati papali, Domenico di Guzmán concepì un nuovo modo di predicazione: per combattere i Càtari bisognava usare i loro stessi principii, vale a dire, oltre alla predicazione, operare in povertà, umiltà e carità. Questa nuova formula portò Domenico, dieci anni più tardi, alla fondazione dell'ordine domenicano.
Data l'inefficacia di questi interventi di tipo non violento, il papa Innocenzo III bandì contro di essi nel 1208 una vera e propria crociata, la prima indetta di cristiani contro cristiani. L'errore, fu per i catari riunirsi in chiese alla pari della chiesa di Roma. Nonostante questo, nel 1229 i Càtari dovettero istituire un quinto vescovado, dato l'aumento numerico dei fedeli. Per rimediare all'inefficacia religiosa della crociata e per debellare l'eresia catara fu appositamente creato da papa Gregorio IX il Tribunale dell'Inquisizione, che impiegò settant'anni ad estirpare il catarismo dal sud della Francia.

I Càtari diffusero nel basso medioevo, e in particolare tra il 1150 e il 1250, un'eresia dualista che si fondava essenzialmente dal rapporto oppositivo tra materia e spirito. La dottrina càtara fu erroneamente assimilata al suo apparire a quella del manicheismo e dei bogomili dei Balcani: con questi ultimi tuttavia aveva molti punti in comune. Le derivazioni gnostiche, manichee, pauliciane e bogomile dei Càtari erano forse giunte fino in Europa all'inizio del XII secolo, tramite l'impero bizantino e i Balcani o tramite i crociati e i pellegrini che tornavano dalla Terra Santa: i fedeli Càtari erano infatti detti anche "bulgari".
Alcune similitudini con il movimento patarino (che lottò per una Chiesa di poveri ed uguali) fecero sì che i due movimenti finissero per essere confusi nell'opinione pubblica.
Appoggiandosi ad alcuni passi del Vangelo, in particolare quelli in cui Gesù sottolinea l'irriducibile opposizione tra il Suo regno celeste e il regno di questo mondo, i Càtari rifiutavano in toto i beni materiali e tutte le espressioni della carne. Professavano un dualismo in base al quale il re d'amore (Dio) e il re del male (Rex mundi) rivaleggiavano a pari dignità per il dominio delle anime umane; secondo i Càtari, Gesù avrebbe avuto solo in apparenza un corpo mortale (docetismo). Essi svilupparono così alcune opposizioni irriducibili, tra Spirito e Materia, tra Luce e Tenebra, tra Bene e Male, all'interno delle quali tutto il creato diventava una sorta di grande tranello di Satana (una sorta di Anti-Dio diverso dalla concezione cristiana) nel quale il Maligno irretiva lo spirito umano contro le sue inclinazioni rette, verso lo Spirito e verso il Tutto. Lo stesso Dio-creatore dell' Antico Testamento corrispondeva al Dio malvagio, a Satana.
La convinzione che tutto il mondo materiale fosse opera del Male comportava il rifiuto del battesimo d'acqua, dell'Eucarestia, ma anche del matrimonio, suggello dell'unione carnale, genitrice dei corpi materiali - prigione dell'anima. L'atto sessuale era infatti visto come un errore, soprattutto in quanto responsabile della procreazione, cioè della creazione di una nuova prigionia per un altro spirito. Allo stesso modo era rifiutato ogni alimento originato da un atto sessuale (carni di animali a sangue caldo, latte, uova), ad eccezione del pesce, di cui in epoca medievale non era ancora conosciuta la riproduzione sessuale. Era proibito quindi collaborare in qualsiasi modo al piano di Satana. La vittoria massima del Bene contro il Male era la morte, che liberava lo spirito dalla materia, e la perfezione per il càtaro era raggiunta quando egli si lasciava morire di fame (endura).
Pur convinti della divinità di Cristo, gli albigesi sostenevano che Egli fosse apparso sulla Terra come un angelo (un "eone" emanato dal Dio e dalla Luce) di sembianze umane (di natura angelica era considerata anche Maria) e accusavano la Chiesa cattolica di essere al servizio di Satana, perché corrotta e attaccata ai beni materiali.
Credendo nella deviazione dalla vera fede della Chiesa di Roma, i Càtari crearono una propria istituzione ecclesiastica, parallela a quella ufficiale presente sul territorio.

La propaganda catara ebbe una forte presa tra i ceti più umili, gli stessi che avevano fatto la forza dei patarini. Essi sfruttarono il clima di delusione seguito alla riforma gregoriana, che aveva mancato di riformare la Chiesa secondo la povertà predicata da Cristo e ritenuta tipica del cristianesimo delle origini.
Le comunità di fedeli erano divise in "credenti" (simpatizzanti, non tenuti ad applicare tutte le norme della disciplina catara), che si chiamavano «Buoni Uomini», «Buone Donne» o «Buoni Cristiani» e quelli che per l'Inquisizione erano i "perfetti", coloro cioè che praticavano la rinuncia ad ogni proprietà e vivevano unicamente di elemosina. Gli unici che potevano rivolgersi a Dio con la preghiera erano i perfetti, mentre i semplici credenti potevano sperare di divenire perfetti con un lungo cammino di iniziazione, seguito dalla comunicazione dello Spirito Santo, il consolamentum, mediante l'imposizione delle mani. Questo era uno dei pochi Sacramenti càtari, tra cui una sorta di confessione collettiva periodica.
L'Uomo e la Donna costituiscono l'Essere Umano. Questo era il pensiero che animava la comunità catara e si rispecchia nel fatto che i cosiddetti "perfetti" potevano essere sia uomo che donna.
Tra i perfetti esisteva comunque una gerarchia facente capo ai vari vescovi di ogni provincia (assistiti da coloro che venivano detti il "Figlio Maggiore" e il "Figlio Minore") e ai vari diaconi delle comunità catare.
Dal punto di vista dell'organizzazione sociale:
« La proprietà privata era rifiutata come elemento del mondo materiale. I "perfetti" non potevano avere alcuna proprietà individuale. I catari godevano di una certa influenza negli ambienti più diversi, anche in quelli più elevati. Si narra che il conte Raimondo VI di Tolosa tenesse al suo seguito alcuni catari, dissimulati tra gli altri cortigiani, perché in caso di morte improvvisa gli potessero impartire la loro benedizione. »
(Tratto dal Capitolo II "Il socialismo nelle eresie", pp. 36-43, del volume "Il Socialismo come fenomeno storico mondiale", di Igor Safarevic, presentazione di Aleksandr Isaevič Solženicyn, La Casa di Matriona, Milano 1980)
Spesso essi sfidavano a contraddittorio i preti cristiani, battendoli non tanto sul piano teologico quanto sul modello di vita seguito, manifestando per questo una forte presa sui ceti popolari. Agli occhi del popolo il confronto tra castità e santità di vita dei catari rispetto all'organizzazione ecclesiastica tradizionale era sempre a favore dei primi, in quanto il clero comune, oltre a non essere un esempio di santità, ispirava paura e antipatia; niente di meglio degli abusi del clero per incoraggiare l'eresia.

Inizialmente la gerarchia ecclesiastica tollerò l'eresia, cercando di contrastarla con i dibattiti e l'educazione catechistica. I primi atti di repressione violenta furono invece praticati dal potere politico (re e feudatari) che tentarono di bloccare la diffusione dell'eresia che scardinava le basi sociali (famiglia e società civile) oltre che punire gli eretici violenti che devastavano chiese e monasteri creando disordini sociale. Il re di Francia Roberto il Pio fu il primo sovrano a condannare a morte dei catari responsabili di violenze nel 1017. Pochi anni dopo l'imperatore Enrico III fece impiccare alcuni eretici catari. Nei Paesi bassi un tale Tanchelmo di idee catare si circondò di tremila proseliti e portò scompiglio e devastazione in tutta la regione; la repressione condotta dal duca di Lorena fu terribile e altrettanto violenta. Il catarismo si diffuse in vaste regioni della Francia meridionale e dell'Italia settentrionale, con punte di elevata densità nella Linguadoca, nella Provenza e nella Lombardia. Solo dopo l'elezione al soglio pontificio di Innocenzo III, nel 1198, la chiesa reagì in modo violento e repressivo all'eresia. Si intervenne in Italia, ma soprattutto in Linguadoca, inviando, nel 1203, dei legati pontifici, con il compito di combattere l'eresia.
Quando Innocenzo III, comprese che solo con la predicazione non avrebbe risolto il problema, nel 1208, il papa, per estirpare il movimento càtaro dai territori della Linguadoca e della Provenza, indisse la crociata contro gli albigesi, che assunse la forma di un vero e proprio genocidio e terminò nel 1229 con la sconfitta dei catari, con strascichi che si protrassero fino al 1244 con la caduta della roccaforte catara di Montsegur.

Nello scontro tra eretici e anti-eretici si giunse a gravi fatti di sangue. Entrambi gli schieramenti furono responsabili di atroci violenze, che perpetuavano e accrescevano l'odio reciproco. Le forze anti-eretiche ebbero il sopravvento e si giunse a vere e proprie stragi avvenute nel sud della Francia nei confronti delle popolazioni catare. Si ricordano - fra le tante - la strage di Béziers, dove furono massacrate circa 20.000 persone (questi i numeri stimati dai legati papali, tuttavia gli stessi crociati, al loro rientro dal massacro, stimarono di aver sterminato "almeno un milione di persone" in tutto.), sia cattolici che catari, uomini, donne, bambini, anziani, e il massacro di Marmande nel 1219, descritto così nella Chanson de la Croisade Albigeoise:
« Corsero nella città [le armate dei Cattolici], agitando spade affilate, e fu allora che cominciarono il massacro e lo spaventoso macello. Uomini e donne, baroni, dame, bimbi in fasce vennero tutti spogliati e depredati e passati a fil di spada. Il terreno era coperto di sangue, cervella, frammenti di carne, tronchi senza arti, braccia e gambe mozzate, corpi squartati o sfondati, fegati e cuori tagliati a pezzi o spiaccicati. Era come se fossero piovuti dal cielo. Il sangue scorreva dappertutto per le strade, nei campi, sulla riva del fiume. »
Il cronista cistercense Cesario di Heisterbach riporta che - durante il massacro di Béziers - dei Catari trovarono rifugio con dei Cattolici in una chiesa. Il legato pontificio Arnaud Amaury, non potendo distinguere gli eretici ma risoluto a non porre fine al massacro, ordinò quindi: Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius ("Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi"). Vittorio Messori ha cercato recentemente di negare che ciò sia mai successo.

Verso la fine del XI secolo si diffusero nelle regioni della Linguadoca-Rossiglione, dove insediarono delle chiese, ad Albi, Carcassonne e Tolosa; quest'ultima si fece promotrice anche di un importante Concilio cataro, a Saint-Félix de Lauragais. Principali castelli catari nel Linguadoca-Rossiglione erano Montsegur, Puivert, Puilaurens, Queribus, Peyrepertuse e Lastours. È bene precisare che i ruderi dei castelli a noi pervenuti non appartengono alle originali costruzioni catare, ma sono ricostruzioni, ampiamente rimaneggiate, effettuate dalla Corona di Francia dopo il 1250 per difendere la zona dei Pirenei da possibili sconfinamenti dei regni spagnoli limitrofi.
Alla fine del XII secolo la Francia non era la compagine statale che è attualmente: numerose regioni appartenevano all'Inghilterra, la Bretagna era un reame autonomo, la Provenza faceva parte del Sacro Romano Impero Germanico. Parte delle regioni nelle quali era diffusa la lingua occitana costituiva un insieme di feudi autonomi che per alcuni decenni (fra il XII e il XIII secolo) integrarono, insieme ai territori d'Aragona, uno stato economicamente prospero e forte, guidato dal re Pietro II d'Aragona e appoggiato dalla Santa Sede nella persona di papa Innocenzo III.
La prematura scomparsa di Pietro, caduto in battaglia nel 1213 alle porte di Tolosa dove si era schierato per difendere la Linguadoca assediata dai crociati, segnò l'apice della parabola del catarismo.
Il catarismo era diffuso anche a Firenze e nell'Italia settentrionale, dove nel '200, oltre a Treviso, aveva i suoi centri principali in Lombardia e in particolare a Concorezzo, Desenzano sul Garda e Bagnolo San Vito (Mantova), ma anche a Viterbo, a Rimini ed Orvieto. Già nel 1028, il vescovo di Milano catturò un'intera comunità eretica dualistica arroccatasi nelle Langhe, a Monforte d'Alba.
Nel 1198, Innocenzo III dette istruzioni al suo legato in Lombardia di far prestare giuramento agli ufficiali municipali che non avrebbero ammesso eretici alle cariche pubbliche.
A Orvieto, nel 1199, il papa inviò come Podestà un giovane nobile romano, Pietro Parenzo, gradito ai cattolici; ma la comunità catara non lo accettò e lo aggredì, lo trascinò fuori dalle mura e lo picchiò a morte. I Catari erano presenti anche a Piacenza, dove, nell'anno 1230, il Podestà Raimondo Zoccola fu autore di una feroce repressione contro di questi, condannandone numerosi al rogo.
A Viterbo, gli eretici, oltre che essere esclusi dalle cariche pubbliche non potevano fare testamento né ereditare e quindi i beni temporali degli eretici dovevano passare nelle mani della chiesa. Queste istruzioni però vennero disattese sino a quando Innocenzo IV, nel 1270, si recò personalmente in città: i maggiorenti catari furono costretti ad abbandonare la città, i loro beni furono confiscati e le loro case demolite.
La comunità catara lombarda, assediata a Sirmione, venne liquidata con un rogo collettivo nel 1279 all'arena di Verona.

Il catarismo era diffuso anche nei Balcani specialmente in Bosnia e Dalmazia. Il bano Kulin, vassallo del re d'Ungheria, Emerico, si convertì al catarismo, verso la fine del XII secolo. Nel 1200 papa Innocenzo III fece pressione su Emerico affinché ordinasse a Kulin di perseguitare gli eretici ed in caso di rifiuto prendesse possesso dei domini di Kulin. Benché Kulin si fosse arreso, nel 1202, ad una missione papale, il catarismo, come avrebbe in seguito riconosciuto papa Onorio III, non venne estirpato tra gli slavi del sud.
Achille
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